Haffid abitava a Pontoglio

Se le persone non ci sono il paese non esiste , e come si fa a vivere in un paese che non esiste?
21 Dicembre 2015

“Non lo so, non riesco a capire perché sia successo”. Haffid ora ha 10 anni, ma ancora non riesce a darsi una spiegazione di quello che è successo nel natale del 2015, quando ne aveva 8. Abitava a Pontoglio, un bel paesino, tranquillo e rilassato, sulla sponda sinistra di quel fiume che gli da il nome. C’era nato a Pontoglio. E ci stava bene. Gli piaceva spesso girovagare con la bici e i suoi due compagni di classe, Arianna e Davide, tanto non succedeva mai nulla di pericoloso. Almeno così gli aveva detto Jamina, sua madre, siriana di nascita, che quanto a pericoli ne conosceva di ben peggiori. Allora lavorava dai signori Zani, colf, ma anche badante del nonno Italo, ma a volte anche “baby sitter” della piccola Elena, sorella grande di Arianna che non era ancora nata. Il padre Mahmoud, invece, dopo qualche peripezia lavorativa non facile, era finalmente riuscito a trovare lavoro alla Nembri, industria di filati a pochi km da casa. E così avevano deciso di metter su famiglia. E dopo Haffid erano nate anche Nadira e Fatima. 

Girovagando con la bici, un giorno, lui e Arianna erano passati davanti al cartello del paese. “Ari guarda, c’è una scritta nuova”. Aveva inchiodato sgommando, mentre Ari “recitava” il cartello: “Paese a cul… cultura occi… occiden… occidentale e di profonda tradi… zione cristiana. Chi non inte… nde rispe… rispettare la cultura e le tradi… zioni locali è invitato ad andar… sene”. “Ma cosa vuol dire Ari?” “Boh! – gli rispose Arianna tirandosi nelle spalle – ci sono tante parole che non capisco. Ma credo che dice che i cattivi devono andare via dal paese”. “Allora non c’è problema, qui non ci sono persone cattive – rispose Haffid – Delle volte c’è qualcuno che fa del casino la sera, ma non sono cattivi. Bhò! Va bhè, dai Ari andiamo a vedere da Nini se ci da un pezzo di pizza”. “Ok si, ho un po’ fame anche io Haffid”. Gli piaceva la pizza di Nini, così sottile e saporita. Quella di Sing invece era grossa e poi sempre piena di acqua. E suo padre un giorno gli aveva detto: “La pizza è italiana, come fa un cinese a farla buona, è impossibile”.

Qualche giorno dopo, mentre era in casa a fare i compiti, avevano suonato al citofono. “Sì, chi è?”. “Signora, siamo i vigili urbani, dovremmo salire un attimo a parlarle”. “Ah, salite pure”, aveva risposto mamma, dando il tiro, ma con una faccia seria e preoccupata. Poi aveva chiuso la porta del salotto e così Haffid non aveva potuto vedere chi era entrato. Aveva solo sentito che una voce di uomo parlava con mamma. E aveva capito solo alcune cose: ordinanza del sindaco… notte di natale… non cristiani.  Ma quando mamma aveva riaperto la porta era sola, triste e preoccupata. “Cosa c’è mamma? Cosa voleva quel signore?” “Niente Haffid, niente, finisci i compiti che è tardi”. 

E nei giorni successivi, Haffid si era quasi dimenticato di quella strana visita. Mamma e papà erano un po’ seri, ma le cose erano rimaste quelle di sempre. La sera del 24 dicembre, mentre guardavano la tv, papà si era fermato un po’ su Rai 1 dove c’era l’inizio della messa di Natale. “Papà, quella è la messa, dove va Arianna, lo abbiamo studiato a scuola lunedì. Deve essere bella, perché Arianna canta sempre le canzoni di quella messa, una volta ci vorrei andare”. “Ma Haffid, noi siamo musulmani”, aveva risposto la mamma. “Bhè se Arianna mi invita una volta ci vado. E poi io la invito quando noi facciamo id al-fitr”. “Ah, va bene – aveva risposto papà – così magari impara come facciamo festa noi”. “Sì, però adesso a dormire che è tardi –aveva ripreso mamma – le tue sorelle già dormono”. Così mentre si metteva sotto le coperte Haffid pensava che avrebbe cantato i canti della “piccola festa” con Arianna.

“Haffid, sveglia…” “Mmmm, mamma ancora un po’…”. “Ma c’è Arianna che vuole andare a fare un giro fuori. Non ci vuoi andare? Sono già le nove, dai… oggi è Natale, c’è festa in giro”. In un baleno era saltato giù dal letto. E in un altro era saltato in sella alla bici. Ma c’era qualcosa di strano. Nessuno in giro. Nessuna macchina passava. Sembrava non ci fosse più nessuno a Pontoglio. 

Ninì aveva lasciato la pizzeria aperta e vuota, come se fosse fuggito all’improvviso. Dentro era tutto da sistemare, come quando, qualche mese prima, stava lavorando per rinnovare la sala e mentre ci passavano davanti il padre di Arianna aveva detto: “Chissà dove avrà trovato i soldi per ristrutturare, mah!”. Anche la casa di Davide aveva la porta aperta. I suoi genitori non erano sposati, ma ci abitavano da due anni e mai l’aveva vista così spalancata. Che fossero fuggiti pure loro? Poi la farmacia. Aperta anche quella, ma senza nessuno dietro il banco. Però c’era uno scaffale intero vuoto, quello dove ci stavano sempre quelle strane scatole con su scritto Hatù. Poi c’erano una serie di case con le finestre tutte spalancate e i garage aperti e vuoti. Anche quella di Gianluca era messa così, che Arianna diceva che a messa non ci veniva mai. Fuggiti anche loro? Mah! E all’improvviso, dal comune, pure quello spalancato e vuoto, un carabiniere, correndo fuori, diceva al cellulare: “Sì, sia il sindaco che l’assessore, certo. Non si trovano più. E non c’è più nemmeno l’ingegnere … Ferrari, … Si quello dell’affarone”.

Ecco, Haffid non capiva perché tutti se ne fossero andati, “cominciando dai più vecchi fino agli ultimi (Gv 8,9)”. E alla fine anche lui e la sua famiglia se ne era andato. Se le persone non ci sono, il paese non esiste. E come si fa a vivere in un paese che non esiste?

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