Un mazzo di fiori in tasca

Il loro bisogno di spiritualità,finisce per non esser portato dentro alla Chiesa, e quando va bene,trova altre forme forme spirituali per essere coltivato.
27 Gennaio 2011

Gennaio. Rientro dalla vacanze e a scuola fioccano le verifiche. La fine del primo quadrimestre incombe e i docenti hanno bisogno di voti per dare le valutazioni. In quarta ho deciso di fare una verifica “come si deve”. E’ una classe che regge bene credo che possano affrontare anche cose un po’ complesse.

Il giorno precedente la verifica, a ricreazione Elisabetta e la sua piccola corte di tre amiche-damigelle (è palese che lei fa da leader!) mi travolgono con una richiesta di chiarimenti su cosa ci metto nella verifica. “Ma mica vi farete problemi per la mia verifica?” dico tra il serio e l’ironico. “No prof. ma è che ci teniamo ad andare bene con lei, perché la sua materia non è obbligatoria e non fa media”. “Cioè vorreste farmi credere che studiate la mia materia perché si può scegliere e non pesa sul vostro risultato finale?”. “Si prof. così ci sentiamo libere di fare come vogliamo, e non abbiamo lo stress su cosa dire a casa se andiamo male…”

Qualche giorno prima mi aveva incontrato in corridoio la prof di Inglese e, un po’ sorpresa, mi aveva detto che durante un’ora di supplenza fatta in seconda alcune ragazze avevano studiato religione per la verifica.  E aveva aggiunto che alla sua domanda sul perché studiavano religione, visto che non fa media, si era sentita rispondere che era l’unica volta in cui si sentivano libere di studiare “perché tanto se andiamo male non conta”. Due piccoli esempi, che ovviamente vanno contestualizzati dentro alla stragrande maggioranza degli studenti che non ci pensano nemmeno a studiare per la verifica di religione. E credo che sia anche normale.

Ma mi ha fatto riflettere la motivazione data in entrambi i casi. Da un lato essa mostra la fragilità e l’insicurezza sui propri mezzi di questi adolescenti, ma dall’altro dice anche che la scuola è percepita da loro come una organizzazione sociale rigida e valutativa in cui spesso molti di loro non si sentono all’altezza di ciò che gli adulti gli chiedono. E credo che questa tendenza non sia solo legata alla scuola, ma a qualsiasi società che mostri come prima cosa a loro il volto del giudice, anche la Chiesa. Una delle tre amiche-damigelle di Elisabetta qualche settimana fa, discutendo del loro rapporto con la Chiesa, aveva detto apertamente che per lei “i preti non sanno fare altro che giudicarti, senza nemmeno ascoltarti e darti il tempo di spiegare magari”. E così si evita anche di fare i conti col loro mondo spirituale e con le loro domande di senso, e per sopravvivere si fa il “surf” sulla vita invece di tentare di “prendere il largo”. 

Credo che anche questo sia uno dei motivi per cui il loro bisogno di senso e di spiritualità finisce per non poter essere portato dentro la Chiesa. E quando va bene trova altre forme spirituali per essere coltivato; a volte viene travisato dentro ad altri contenuti che finiscono per essere divinizzati; quando va male semplicemente si spegne e la ricerca di senso viene abbandonata. In queste condizioni, ovviamente, se qualcuno cerca di offrire una risposta o dare una valutazione, magari legittima, trova il canale chiuso già alla seconda parola.

E mi veniva da riflettere allora, su come spesso il linguaggio utilizzato da ecclesiastici in molte apparizioni in tv metta in primo piano il giudizio etico e l’intenzione di offrire senso e dare risposte, senza rendersi conto che proprio questo atteggiamento rende impossibile per molti l’apertura del canale per tentare di ascoltare e magari capire. E non sono convinto che questo dipenda da carenze comunicative, ma bensì da un atteggiamento di fondo che spesso nasce dalla buona intenzione di portare una parola di salvezza all’uomo di oggi e finisce per essere strumento per non farsi capire. 

Credo che se si vuole aprire una nuova evangelizzazione, la conversione va portata fino a questo livello, in cui a muovere la parola di un prete o di un cristiano non sia la tanto la voglia di dare risposte e valutazioni a partire dalla verità che si pensa di possedere, ma il desiderio di ascoltare e capire per prima cosa, e poi di raccontare la propria esperienza di relazione con Gesù, senza nessuna altra intenzione che non quella di esprimere la propria gioia di essere cristiano. Se abbiamo un mazzo di fiori in tasca non abbiamo bisogno di offrirlo per convincere gli altri, se ne accorgeranno da soli…

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