Incontri generazionali ad alta quota

Anche un viaggio in aereo può diventare occasione per un dialogo da cui possiamo tutti imparare qualcosa...
30 Maggio 2023

Di ritorno dal salone internazionale del libro di Torino, nel volo che mi riportava in Sicilia, l’algoritmo della scelta casuale dei posti della Ryanair ci ha offerto un bel confronto generazionale.

In un’unica fila eravamo seduti tre generazioni: accanto al finestrino una anziana signora che tornava al suo paesello nelle Madonie per poter partecipare alla festa patronale. Teneva in mano e leggiucchiava Di Più TV. Vicino al corridoio ero seduto io assorto nella lettura di un romanzo di Scott Spencer, ricevuto in dono da un mio amico, e al centro una ragazzina di 17 anni a conclusione di una gita di classe in Piemonte, assonnata per aver dormito solo pochissime ore. Mentre nel corridoio defluivano i suoi compagni alla ricerca del proprio posto, si salutavano scambiandosi occhiate miste tra stanchezza e orgoglio di classe per aver sfruttato ogni minuto della gita, sacrificando anche le ore di sonno.

L’anziana signora, con quel fare tipico della vecchiaia che racconta i giorni passati con la spasmodica voglia di provare ad aggiungere altri giorni futuri fermando il tempo, inizia a raccontare a ruota libera  alla ragazzina assonnata il motivo del suo viaggio di ritorno in paese, nonostante i suoi 42 anni di residenza a Torino: “le radici sono importanti, permettono all’albero di vivere” disse, citando senza volerlo una battuta del film de La grande bellezza.

La ragazzina sbuffando ma con fare sempre educato le accennò un timido sorriso di compassione, si voltò verso di me e chiuse gli occhi facendo finta di dormire. Non c’era niente da dire, era assonnata e forse anche infastidita, ma era connessa ad una parte del suo mondo di cui non gli importava granché e comunque lontana dai suoi compagni di viaggio. Se non poteva vivere nel cuore della vita, perché oppressa dalle due generazioni che la confinavano al centro apostrofandola come ragazzina, allora tanto valeva vivere nei sogni. Ammiravo il suo distacco e immaginavo che anche lei cercasse una sua solitudine per assaporare i ricordi di quelle giornate, della sua prima gita fuori porta con i compagni di classe.

L’anziana signora comprò un carnet di biglietti gratta e vinci, sfidando la sorte e mitigando il senso di colpa tipico del gioco con la rassicurante voce dello steward che di volta in volta annuncia che parte dei ricavati della vendita andranno in beneficienza alla fondazione dell’ospedale pediatrico Meyer. Non vinse e guardava con sguardo di commiserazione la ragazza mezza assopita mentre gli porgeva il suo settimanale: “vuoi leggere qualcosa?”, la ragazza rifiutò con garbo l’offerta di lettura ed escì dal suo zaino un testo enorme: si trattava di un manuale di neuroscienze che stava leggendo per prepararsi al nuovo anno di università.

Io continuavo a leggere e feci i miei complimenti alla ragazzina per il suo desiderio di voler studiare Neuroscienze. “Noi siamo il nostro cervello, per questo mi affascina questo mondo”, così mi rispose iniziando a svegliarsi. La signora sorrise e disse: “ah se siamo il nostro cervello, mio marito allora è un essere umano minore poiché ha l’Alzheimer e ogni giorno gli devo ricordare anche di mangiare. Lui non è L’Alzheimer per me”.

La ragazza non rispose e cercava nel mio sguardo un aiuto o un appiglio per rispondere ad una definizione tanto dura quanto veritiera, come fossimo alleati in una lotta generazionale. “Beh, diciamo che alle 6.30 del mattino è difficile capire chi siamo – iniziai a farfugliare – mettiamo in conto che ora siamo semplicemente noi, in viaggio, con età diverse, provenienti da giornate diverse, da incontri diversi e diretti in città diverse e per motivi diversi”.

Alla ragazzina piacque la mia risposta e mi sorrise, la signora restò in silenzio. “E tu dove vai?” mi chiese incuriosita, aspettandosi chissà quale risposta metafisica. “Vado a Palermo, ma poi continuerò a viaggiare”. Il comandante ricordava di allacciare le cinture di sicurezza poiché tra venti minuti saremmo atterrati all’aeroporto di Punta Raisi di Palermo.

Prima di salutarci, guardando la ragazzina e rivolgendomi all’anziana signora dissi: “siamo tre generazioni a confronto, tra passato e futuro. Siamo dei poveri viaggiatori alla ricerca di senso. Dovremmo essere solo più umili accogliendoci come diversi lungo il viaggio, tanto prima o poi si atterra”.

La ragazzina raggiunse il suo gruppo e nel corridoio di uscita, mentre comunicava a sua madre il viaggio andato bene, mi si avvicinò e si presentò con il suo nome: “comunque piacere, mi chiamo Alice, non sopporto le persone che lungo il viaggio devono parlare senza senso solo per sembrare simpatiche, ma che dovevo fare, l’ho lasciata parlare per educazione”. “Anche a me danno fastidio questi dialoghi, soprattutto perché alle 6 del mattino, però se ci fai caso è stato un bel viaggio: abbiamo fotografato ciò che i sociologi chiamano dialogo generazionale”. Mi salutò con una calorosa stretta di mano fotografando la copertina del romanzo che stavo leggendo.

Penso che la realtà sia molto più semplice delle analisi e degli studi, le nuove generazioni sono semplicemente nuove, ossia diverse, come lo siamo tutti noi, originali, amano tutto con un amore totale o con un disamore altrettanto totale. Basta amarli, scendere dal piedistallo e condividere il viaggio per quel tratto di strada che ci è concesso: tanto prima o poi si atterra.

 

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