E se imparassimo dalla pubblicità?

Analizzare le pubblicità ci regala delle chiavi comunicative dirette e fresche che se usate con intelligenza possono davvero aprire modalità di comunicazione della fede che oggi sono poco visibili. 
8 Febbraio 2011

“Ma cosa c’entra col tuo programma?” Ero in una pausa di un incontro sindacale per docenti di religione e una mia cara collega sentendomi raccontare di una attività in classe è rimasta un po’ interdetta.

Ho la fortuna di insegnare un corso per tecnico grafico. E speriamo che la riforma non ce lo azzeri. Dopo tre anni di materie professionalizzanti, in 5° sono in grado di fare anche analisi videografiche, almeno i più “bravini”. E allora da qualche anno ci provo. Chiedo loro di selezionare alcune pubblicità che passano in tv, se le trovano scaricarle dal web, o video registrarle direttamente. E poi ce le guardiamo spaparanzati in classe come capiterebbe sul divano di casa, o quasi. Lo so! Se entrasse il preside sarebbe difficile dirle: “Posso spiegare, non è come sembra” (Gerry Scotti nella pubblicità del riso).

Ma mi assumo la mia responsabilità e il rischio connesso, come il pilota dell’aereo della pubblicità del Montenegro. E insieme ai ragazzi lascio che siano loro ad insegnarmi gli strumenti di lettura di uno spot pubblicitario. Quanto mi fanno bene!!! E come sarebbe bello se la grammatica e la sintassi del linguaggio visivo fosse patrimonio condiviso da un’intera società, come per il linguaggio verbale.

“Ecco vedi – dico alla mia collega –  ho imparato un sacco di cose dai miei studenti con questa attività e sono proprio grato a loro. Ad esempio che la pubblicità non è fatta per far pensare un’idea, ma per far sentire un’emozione. E che questa emozione serve da collante, spesso mistificatorio, per unire dentro di sé un bisogno, reale o indotto che sia, e un valore (o disvalore che sia!) in relazione ad un bene che viene mostrato come potenzialmente in grado di soddisfare entrambe le esigenze. A me questo dice molto di come funziona oggi l’uomo postmoderno. ma soprattutto mi dice al di là delle ricerche sociologiche, quali sono i bisogni e i valori davvero presenti nell’anima della gente di oggi, perché sempre di più la pubblicità mette in scena l’anima di una società e delle persone che la abitano. E sono convinto che se vogliamo essere in grado di riuscire a parlare della nostra fede e di Gesù Cristo a queste persone dobbiamo incominciare a capire quali sono i canali con cui loro leggono la realtà e si rapportano ad essa”.

“Cioè vorresti dire che l’evangelizzazione dovrebbe diventare uno spot e la liturgia un carosello?”. “Ma ti pare??!! Come se tu non mi conoscessi… Nulla è più lontano da me di questo. Voglio dire invece che analizzare le pubblicità ci regala delle chiavi comunicative dirette e fresche che se usate con intelligenza possono davvero aprire modalità di comunicazione della fede che oggi sono poco visibili. 

Ti faccio un esempio. Una delle ultime pubblicità viste con i miei studenti è quella della Rai per i 150 anni dell’unità d’Italia. E loro hanno trovato come li il bisogno di ognuno di avere radici locali (dialetti!) si sposi col valore della lingua nazionale che sostanzia l’unità italiana. E il bene potenzialmente in grado di soddisfare entrambe le esigenze è la Rai. Ma l’emozione che fa da collante in ogni “sketch” in cui questa idea è rappresentata è quella di una ironia stupita che si apre poi alla gioia, che sa anche sorridere leggermente sulle diversità e non perde per questo un valore pesante e controverso come l’unità della nazione.

Cosa succederebbe se presentassimo la questione del rapporto tra le religioni con questa stessa emozione, se lavorassimo per suscitare questa ironia stupita come prima sensazione e non invece quella di una paura che minaccia la nostra identità. E lo stesso vale per le differenze tra le varie anime del cattolicesimo italiano, dove l’estremizzazione delle posizioni ormai rende impossibile capirsi anche tra chi ha sempre trovato modo di farlo”. 

“Bhè in effetti sarebbe carino, – dice la mia collega -, ma noi abbiamo a che fare anche con dei contenuti ideali, non solo con delle emozioni. Gesù Cristo è anche verità”. “E’ vero – le dico -, ma una grammatica e una sintassi della verità già ce l’abbiamo, costruita in decine secoli di teologia alle spalle. Una grammatica e una sintassi delle emozioni della fede invece ci manca, e oggi sarebbe invece assolutamente necessaria. E a me sembra che chi costruisce pubblicità la conosca abbastanza bene invece, e ovviamente finisce per utilizzarla “pro domo suo”.

Alla fine lo ho offerto il caffè… quello dello spot del paradiso…

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