Paolo e Nino, Nino e Paolo

La creatività di Dio non ha confini, e insieme sembra molto ampia anche la capacità umana di dare un senso alla propria esistenza se si supera la barriera di quello che comunemente si considera “normalità”.
19 Febbraio 2020

Quest’anno la presenza di Paolo Palumbo, rapper di 22 anni malato di Sla, ha dato, a mio avviso, una nota di profondità  molto intensa  al Festival di Sanremo.

Paolo, lo chiameremo già come un amico, mi ha subito ricordato Nino, il servo di Dio Nino Baglieri, splendida figura a me molto cara pur senza averlo mai conosciuto di persona…  E, devo dire sinceramente che gli accostamenti tra queste due figure, pur con tante differenze, mi hanno stupito e commosso.

Distanti, certo, Paolo e Nino: uno sardo di Oristano, l’altro siciliano di Modica, uno ventiduenne e vivente  e l’altro scomparso nel 2007 a 56 anni, uno aspirante chef e ora rapper, l’altro muratore … Distanti per oltre due generazioni di tempo e di mentalità;  eppure sconvolge come, pur in modalità dovute a diversi contesti, entrambi abbiano lo stesso messaggio da mandare ai loro contemporanei e non solo: ci dicono che la vita è bella, che vale la pena viverla pienamente, e  si percepiscono come “un ragazzo che non si è arreso davanti alle difficoltà e ha imparato a farne un punto d’appoggio su cui costruire qualcosa di nuovo” (sono parole di Paolo). La vita di entrambi, infatti, si capovolge a 17 anni (altra particolare coincidenza): Nino facendo il muratore cade dal quarto piano di un’impalcatura e rimane tetraplegico per 39 anni, potendo muovere solo la testa; a Paolo quatto anni fa cominciano a cadere gli attrezzi da cucina dalle mani mentre studia come chef, perdendo via via sempre più ogni facoltà a causa della SLA e rimanendo oggi totalmente immobile, tranne che nella possibilità di controllare lo sguardo.

Nino, dopo l’incidente, attraversa dieci lunghi anni di disperazione e di imprecazione contro Dio per  la sua condizione terribile, finché il Venerdì Santo del 1978, mentre un gruppo prega per lui, riceve non la guarigione fisica, ma quella spirituale e afferma: “in quel momento dissi il mio sì al Signore, accettai la mia croce e rinacqui a vita nuova… perché una gioia sconosciuta entrò nel mio cuore”. Anche Paolo in un’intervista dichiara: “La fede è il mio volo principale, il dono più grande che ho coltivato al giungere della malattia e nel momento più difficile ha salvato la mia anima. Credo profondamente e prego tanto, tutti i giorni. Prego perché i miei sforzi abbiano un senso nell’umanità… Dio ha un disegno per tutti noi, se sono in questa condizione c’è un motivo preciso e questa consapevolezza mi basta”.

Incredibile anche l’accostamento che possiamo fare tra le loro famiglie: per Nino c’è una mamma dalla fede incrollabile che dice il sì alla vita del figlio, pur così sacrificato, mentre i medici le consigliano di scegliere l’eutanasia… e lei invece decide di accudirlo giorno e notte, assieme soprattutto alla figlia Rosetta, l’unica sorella che Nino ha, e al suo fidanzato e futuro marito, che diventerà fino all’ultimo giorno il costante e tenero cireneo di Nino, come infermiere quotidiano e accompagnatore, guidando l’auto che lo condurrà sulla carrozzina in tanti luoghi di pellegrinaggio dove poter fare la sua testimonianza di rinascita e annuncio dell’Amore di Dio.

Similmente Paolo racconta di aver avuto sempre vicino la sua splendida famiglia e soprattutto il fratello Rosario, descritto da lui come “il vero eroe di questa storia. Pensate che al momento della diagnosi lui ha lasciato tutto per prendersi cura di me, diventando le mie gambe e le mie braccia. Grazie a lui le mie incertezze sono scomparse”. Le stesse parole, posso assicurare, si sentono quando Rosetta e suo marito, divenuti per me ormai cari amici, raccontano dei loro oltre quarant’anni vicini a Nino, di quanta forza, di quanta dolcezza lui abbia sprigionato scoprendo ogni giorno di più le proprie potenzialità. Afferma Nino stesso: “Per me questa è stata come una missione, scrivere tutto quello che avevo vissuto e comunicarlo. Ho cominciato a scrivere le prime preghiere, le prime poesie e poi le leggevo narrate in una radio a Modica, poi a quella di Ragusa e poi le prime lettere e dopo sono cominciate le prime visite: pensate che ogni giorno a casa mia venivano almeno settanta, ottanta persone. In pochi mesi la mia testimonianza attraverso le persone, la radio e i giornali arrivava in tutti e cinque i continenti … Tante lettere da tutte le parti del mondo: e questo tutto opera dello Spirito Santo!”

Come non sentire l’eco di queste parole nell’affermazione di Paolo che spiega di non essere un vero “influencer”, nonostante i 130mila followers della sua pagina Facebook, ma che mostra la sua grande creatività nell’inventare ad esempio il brevetto di un tampone che in bocca e sprigiona odori e sapori di cibi prelibati, per non perdere il gusto essendo alimentati dalla peg…. Insomma la creatività di Dio non ha confini, e insieme sembra molto ampia anche la capacità umana di dare un senso alla propria esistenza se si supera la barriera di quello che comunemente si considera “normalità” e si potenzia in pieno ogni aspetto vitale della propria personalità, proprio là dove sembra più difficile e dove le tenebre pare che abbiano il sopravvento. E’ Paolo stesso che nella sua canzone portata al Festival, ed espressa con la sua voce da “casello autostradale”, canta: “Credo e recito il Rosario /ed è proprio lui a tenere lontano il mio sicario.” Ognuno infatti ha un suo sicario… Paolo e Nino però si sono scelti una strada maestra per essere uomini felici , grazie anche al sostegno di una Mamma in Cielo, di cui Nino dolcemente dice: “Lei si trova vicino al capezzale del letto nei momenti bui e tristi; Lei che è sempre pronta ad accarezzarci e sorridere al nostro triste viso, ci protegge con il Suo amore di Mamma”.

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