Meno Mario Bros, più Sophia

L'abbaglio più grande non sta nella preferenza per il pragmatismo, ma nell'aver di fatto azzoppato l'ipotesi che quelli che pensano possano essere gli ispiratori di quelli che fanno.
9 Luglio 2012

Ho recuperato di recente questa frase di Chesterton: “A forza di fare uomini pratici, abbiamo fatto solo uomini mediocri. Una buona pratica ha bisogno di una buona teoria”.

Non sono un letterato: la citazione, ahimé, la ignoravo e l’ho rubata alla ricerca di un amico. E, aggiungo subito, ho chiaramente un problema personale, un conflitto di interessi con la questione: sono un tipo che non sa da che parte cominciare se deve aggiustare il pensile che ha ceduto di schianto in cucina.

In una gamma molto ampia, che va dagli infaticabili benemeriti fino ai più meschini praticoni, dagli eroici (e lo dico con zero sarcasmo) superman della carità h24 ai furbetti di Curia ma anche di parrocchietta, ho la sensazione che anche nella chiesa almeno negli ultimi 30 anni siano stati preferiti – e quindi, nel tempo, formati – sempre e comunque quelli che fanno a prescindere (purché facciano), a quelli che pensano. E qui, senza prescindere; anzi, meglio quelli che pensano e scrivono tutti in un certo modo, e con certe paroline chiave. Non necessariamente brillanti, profetiche e poetiche, ma rassicuranti.

L’abbaglio più grande non sta tanto nella preferenza per il pragmatismo e per l’azione, ma nell’aver di fatto azzoppato l’ipotesi che quelli che pensano possano essere gli ispiratori di quelli che fanno; e che questi non possano essere coloro che sanno dare concretezza alle idee, e perfino alle profezie di qualche pazzo che sa solo pensare, scrivere e leggere i segni dei tempi.

E così mi pare di intravedere un filo rosso, per quanto tenue e odioso, che unisce il grande attivismo sociale di tanti di noi nei confronti degli ultimi alla generazione grigia di quei piccoli e grandi tecnici, di quelli che stanno o che vengono messi al posto giusto; quelli che conoscono le persone giuste e che sanno fare le cose che pare servano “per stare al mondo”; quelli che occupano ruoli di rilievo (cosa buona) ma che potrebbero essere spesi molto meglio e sostenuti nella fede e nel concreto perché diano belle e difficili testimonianze. E invece a volte vanno bene solo perché ci fanno comodo, lì e così.

Anche il mondo laico oggi, in tempo di crisi, comincia a sentire l’assenza di filosofi e poeti che ispirino più spesso e di più ingegneri, imprenditori e amministratori pubblici. E invece capita troppe volte che siano questi ultimi – soprattutto quelli del genere “faccendieri”, mi verrebbe da dire – a indicare ai poeti e ai filosofi la forma che deve prendere il pensiero corrente; a chiedergli che traducano in concetti e mettano in bella copia prassi piuttosto grossolane. Se non del tutto rivedibili.

ps. a proposito, ho ancora il pensile scolapiatti della cucina che giace sul pavimento: volontari con un po’ di manualità?

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