Le forme cattoliche della concupiscenza

Le forme cattoliche della concupiscenza
21 Aprile 2016

Il prete che mi ha confessato qualche giorno fa, mi ha aperto una bella traccia di riflessione, che vorrei condividere qui. Parlando delle forme di “seduzione” del maligno ha detto: “Anche chi cerca una santità in modi, tempi e forme che non sono di Dio vive nella concupiscenza”. Mi ha colpito. Di solito la concupiscenza è connessa al solo campo sessuale, così come la teologia da parecchi secoli ci ha abituato a fare. E mi ha spinto ad una riflessione a più largo raggio.

E allora sono andato a vedere la radice. Il senso originario del termine concupiscenza, indica il desiderio di un bene, talmente intenso da destabilizzare l’equilibrio interno della persona e provocare in lui la spinta irrefrenabile di possederlo, di afferrarlo, di avere per sé quel bene. Indica perciò una forma esistenziale, un modo di rapportarsi della persona intera nei confronti del “bene” della vita e del desiderio di essa, in tutte le sue dimensioni. Una sorta di “bulimia della vita”. Perciò è legittimo parlare di concupiscenza in varie dimensioni dell’uomo, come la bibbia stessa riconosce. (Rm 7,7 e in Gc 1, 14-15).

Quella suggerita dal mio confessore si potrebbe definire come una “concupiscenza spirituale”. Uno sforzo puramente umano per cercare di raggiungere la santità di Dio attraverso la sola volontà umana; di decidere tempi, modi e forme dell’essere come Dio. E’ evidente che questo, appartiene alla logica della carne, cioè dell’uomo che confida solo in sé stesso e nelle proprie forze. Forma che, subdolamente, serpeggia anche nel mondo cattolico nella persona molto religiosa che, cerca di “costruire” la propria santità, obbligandosi a stare dentro alle regole etiche, nel tentativo di “produrre” o “conquistare” da sé la salvezza, senza rendersi conto che, come dice in Gc 1, 14-15, è proprio questa è la radice di ogni peccato.

A partire da lì esistono poi altre forme di concupiscenza, da cui anche il mondo cattolico non è esente. Quella della mente, in cui la persona cerca di costruire la Verità, attraverso lo sforzo della ragione, al cui servizio tutto il resto si piega, fino ad ipotizzare che la realtà sia solo l’immagine mentale che noi ci facciamo di essa, diventando così perfettamente autoreferenziale. Anche qui è la logica della carne a vincere, perché la verità non può essere posseduta, ma al contrario ci possiede. Evidente tra quei cattolici, tra cui a volte ci sono anche io, che pretendono che la loro lettura teologica della realtà sia la sola vera.

Possiamo poi, legittimamente, parlare anche di una concupiscenza delle emozioni: cercare di sentirsi vivi attraverso la sperimentazione intensa e ripetuta di varie forme di emozione, anche forzando i nostri limiti umani naturali. Una traduzione fortemente secolarizzata della logica della carne, in cui l’autoreferenzialità della persona si associa ad una “salvezza” puramente sensoriale – emotiva. Come non vedere che certe forme di “miracolismo” emozionalista strizzano l’occhio potentemente a questa logica della carne? L’emozione che smette di essere luogo dell’amore di Dio e diventa Dio tout-court.

Esiste poi anche una concupiscenza delle relazioni, in cui si cerca di raggiungere l’unità della “comunione” umana attraverso l’imposizione prepotente sull’altro o l’accettazione della sottomissione all’altro, forzando la relazione oltre i propri limiti naturali. L’altro diventa solo un oggetto del mio bisogno di unificazione, rendendomi così oggetto pure io a me stesso. Una logica della carne in cui la salvezza è vista solo come la presenza obbligata dell’altro a me, per soddisfare me stesso. Il potere! Che smette di essere servizio e diventa il Dio a cui tutto si piega. E qui gli esempi cattolici non mancano certo.

Forse la forma di concupiscenza meno “cattolica” è quella del corpo. In cui la salvezza è identificata solo nel raggiungere il benessere, il piacere del corpo, in tutte le sue forme, quindi non solo sessuali. Un benessere che viene ricercato come se questa azione non avesse relazione alcuna con le altre dimensioni della persona, anche forzando i nostri limiti umani naturali. Ciò ovviamente presuppone di considerare il proprio corpo solo un semplice contenitore senza significato, limitando così il proprio essere. Anche qui, si tratta dell’applicazione al corpo della logica della carne, in cui il corpo stesso viene deprivato, e perciò anche depravato, cioè svuotato della sua verità. E se questa forma non è troppo presente nel mondo cattolico significa solo che il corpo lo abbiamo dimenticato fuori dalla porta della Chiesa, non certo che sul piano del corpo abbiamo vinto la concupiscenza.

 

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