La misericordia si impara guardandola

L’uscita del libro "Il Buon samaritano nell’arte" è un’occasione per farsi insegnare qualcosa dalle immagini, che talvolta comunicano meglio delle parole.
6 Dicembre 2022

Si dice che le storie servano per sedersi. È vero: per ascoltare c’è bisogno di una postura adeguata; si può fare anche in piedi o camminando, ma non è la stessa cosa. Si deve stare come Maria di Betania nel quadro di Vermeer, tutta presa dall’ascolto delle parole di Gesù mentre la sorella Marta è presa dal pane che sta portando in tavola. Si potrebbe obiettare che «è soltanto un dipinto». Ma, talvolta, le immagini se la battono con le parole. In fondo, le opere d’arte hanno lo stesso potere delle storie: di inchiodarti lì dove sei, perché vogliono uno sguardo prolungato, mica un’occhiata. Poi, con le storie, hanno in comune la capacità di risonanza: qualcosa che dopo un po’ riemerge e che, per essere capito meglio, chiede un ripasso. Non sempre succede, ma a certi quadri – o film, o libri, o brani musicali – succede: di essere così profondi da mandare ai tempi supplementari.

Buon Samaritano nell'arteAnche per imparare la misericordia (e, più in generale, le forme del bene), c’è bisogno di tornare a guardarla. Magari chiedendo aiuto agli artisti, come fa il libro Il Buon Samaritano nell’arte, di Paola Springhetti (ed. Ave, 2022). Perché l’arte, quando vuole, è capace di farti fermare e il suo mostrare è un insegnare. I gesti di compassione, tra l’altro, non sono così naturali: paiono facili, ma è nel guardarli che si impara a farli. E si vincono le tentazioni di scordarli e di scansarli, frequenti anche nei credenti: mons. Oscar Romero sosteneva che «nella parabola del Buon samaritano abbiamo la condanna di chiunque pensa di onorare Dio ma dimentica il prossimo: il sacerdote, il levita, chiunque, andando a messa, andando ad adorare Dio, trattenendosi a pensare a Dio, dimentica le necessità del prossimo».

Gli artisti che rappresentano questa parabola non sono dei semplici traduttori di parole in immagini, perché – raccontandola dal proprio punto di vista – sanno spesso regalare uno sguardo nuovo sulla misericordia. Senza teorizzarla, senza dire che cosa significa etimologicamente, senza dire perché si debba avere misericordia (tutte cose che le parole fanno meglio), riescono però a metterla a fuoco in modo inedito. E aiutano a specchiarsi nelle parole di Gesù: «Va’ e anche tu fa’ così» (Lc 10,37).

D’altra parte, anche Lui ha fatto arte. Invece di dare una definizione del prossimo, si è messo a disegnare delle immagini (pur continuando a usare parole), narrando una breve storia, un cortometraggio in cinque scene. Così è rimasto concreto. Tant’è che, alla fine, sarà proprio chi aveva posto la domanda «Chi è il prossimo?» a dare la risposta: «Chi ha avuto compassione». Non un generico altro, ma quello che si è fatto prossimo, cioè che si è messo vicino a chi stava male e lo ha soccorso.

LA SCENA CLOU

Il Buon Samaritano nell'arte

Il gruppo bronzeo del Buon Samaritano di Alan Collins nel campus della Loma Linda University (California)

Gesù ha portato quel dottore della Legge a immedesimarsi e l’arte fa lo stesso, in certi casi meglio delle parole. O meno velocemente. Lo vediamo bene in tre opere e in una fotografia, presenti nel libro. Quando la parabola ricorda i due “passati oltre”, il sacerdote e il levita, due credenti rimasti indifferenti a un uomo massacrato di botte e derubato di tutto, noi non ci facciamo caso. Per il fatto che, come tante opere d’arte, andiamo dritti al momento dell’aiuto: dovendo fare una sintesi, puntiamo sulla scena clou, quella che viene sempre ripresa, quella che resta in memoria.

C’è, invece, un bronzo di Alan Collins che, dei due personaggi “passati oltre”, mette bene in vista la boria del primo e l’esitazione del secondo. E fa persino una forzatura, avvicinando i tempi della storia, poiché pensa che la loro negatività vada osservata, meditata, non elusa.

Inoltre la scultura rimarca il gesto del samaritano, che è più di un semplice abbraccio: caricarsi del peso dell’altro vuol dire sollevarlo, farlo sentire più leggero, prestargli delle cure, chiedere aiuto a una struttura.

ILBuon Samaritano nell'arte

Il Buon Samaritano dell’americano Daniel Bonnell

I PUNTI DI VISTA

Un ulteriore merito dell’arte è di mostrare punti di vista inaspettati.

Così fa Daniel Bonnell, mettendo lo spettatore nel ruolo dell’albergatore che sta aprendo la porta. È come se l’artista gli domandasse una disponibilità a fare altrettanto e gli suggerisse che l’accoglienza è un’altra faccia della misericordia.

Una messinscena originale – anche questa per provocare chi guarda – è pure quella della foto di Christopher Ruane, che a prima vista pare proporre soltanto un Buon samaritano contemporaneo. In realtà davanti a lui si intravedono le ombre di molte persone presenti: a dire che si può passare oltre anche stando immobili, a commentare e a fotografare, senza muovere un dito.

 

 

SIAMO CORPI

Infine l’arte ha una tale capacità di immaginare… che ci mette del suo. Ma riuscendo a far emergere dei significati nuovi, rispetto a quelli delle parole.

Buon Samaritano

L’incisione di Rembrandt, del 1633

È per questo che a Rembrandt è venuta in mente un’aggiunta geniale, assente nel suo primo quadro sul Buon samaritano, del 1630. Tre anni dopo, quando il pittore decide di riproporlo in un’incisione, la seconda versione sembra identica alla prima, salvo in un particolare sbattuto in primo piano: un cane intento a defecare. Perché l’artista lo ha voluto immortalare? Forse non tanto per colmare uno spazio vuoto, quanto piuttosto per ricordare il nostro essere dei corpi: con i loro momenti bassi, le fragilità e i bisogni corporali (da raccogliere e da pulire, soprattutto se di persone non autonome: bimbi, vecchi, malati gravi…).

Benché siano “bugie”, perché assenti nel testo scritto, queste invenzioni non sono gratuite. Nell’arte conta lo spettacolo, che spesso è un mix di simulazione e di falsificazione: nel quale, però, può succedere la magia – come diceva Gigi Proietti per il teatro – di «trovare il vero che vi è nascosto». Ed è esattamente ciò che sperimenterà tra non molto chi farà il presepe: un’opera d’arte che, pur raccontando una storia risaputa, non teme di inserire qualcosa di arbitrario, comunicando pure la passione del narratore. Così ogni presepe è ad un tempo vecchio e nuovo e viene sempre guardato volentieri…

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