«Pio X», scrive il prof. Renzo Tosi, «fu il papa dell’antimodernismo. Molti dei discorsi dei cosiddetti modernisti sono ora ripetuti da tutti, e in particolare nessuno crede più che Mosè sia stato l’autore del Pentateuco, ma anche la Chiesa cattolica, tranne forse qualche parroco poco informato, accetta le scoperte del metodo storico-critico. Così da una parte si apre un dibattito e una questione filologica sulla stesura di antiche tradizioni per dar vita al testo che conosciamo, dall’altra permane il desiderio di salvare l’interpretazione tradizionale che vedeva nell’Antico Testamento una prefigurazione di Gesù di Nazareth. Il risultato è che le stesse persone fanno discorsi diversi quando parlano come studiosi da quando parlano con gli occhi della fede» (post Facebook del 22/03/2025).
L’osservazione del Professore, che coglie nel segno della realtà quotidiana di tanti credenti impegnati sul fronte dell’evangelizzazione non meno che su quello dello studio, ci stimola a riflettere e a porci una domanda. Che rapporto c’è tra il «discorso della fede», quello che facciamo – o ascoltiamo – dall’altare e il «discorso della ragione», quello che come studiosi dell’antichità – o di altre discipline – sviluppiamo facendo uso di un metodo più scientifico, dal momento che appaiono così divergenti?
Potremmo rispondere che sono discorsi diversi, ma non incompatibili – nella misura in cui si pongono su piani differenti.
Se, come studioso, il cattolico deve ammettere che il significato cristiano delle Scritture ebraiche non poteva essere nella mens dell’autore e non si impone affatto come cogente alla ragione, ciò non gli impedisce di credere che – su un altro piano – nella mens di Dio quelle Scritture servissero davvero a prefigurare il cristianesimo, e che l’interpretazione cristologica di esse data dai Padri della Chiesa rappresenti proprio l’azione del Creatore nella storia. Un po’ come nulla impedisce (e peraltro fin dal pontificato di Pio XII, che aprì degli spiragli a molti degli sviluppi posteriori) di dare credito – sul piano scientifico – alla teoria evoluzionista e insieme credere – sul piano della fede – che dietro all’insorgere, tra i primati, degli ominidi ci sia la mano di Dio.
Senza dubbio, tutto questo presuppone una concezione del soprannaturale in cui esso sia ‘ridotto’ alle cause superiori, scientificamente insondabili, per cui avvengono certi fenomeni, invece di essere un’eccezione stricto sensu all’ordine naturale (ma lato sensu sì: l’eccezione è nella loro concomitanza più che nella loro essenza). E, applicato all’esegesi delle Scritture, ciò comporta la conseguenza di ammettere che tante cose, che fino a un secolo fa sarebbero state considerate – se non un dato della Rivelazione divina – comunque imprescindibili per una comprensione cattolica della Bibbia, in realtà sono del tutto indifferenti sul piano della fede: per esempio, se Mosè abbia scritto il Pentateuco, se siano di Paolo le lettere pastorali che recano il suo nome, se Matteo sia stato redatto prima di Marco e prima del 70 d.C., etc.
Nello sviluppo di tale concezione ‘riduzionistica’ (che non vuol dire eliminativa) del soprannaturale, l’esperienza modernista del primo Novecento è stata senz’altro determinante. Ma se ne possono trovare alcuni addentellati anche nella teologia preconciliare ‘ufficiale’. In effetti, era di prassi nella Neoscolastica distinguere tra un soprannaturale quoad substantiam (Dio che contro le leggi della natura prosciuga il Mar Rosso per far passare gli Ebrei) e un soprannaturale quoad modum (Dio che agisce servendosi delle leggi della natura – la bassa marea – in modo che ne risulti un effetto non comune: il mare diviene percorribile proprio quando serve agli Ebrei). Entrambi i moduli interpretativi erano ammessi, anche se un ricorso continuo ed esclusivo all’espediente del soprannaturale quoad modum poteva essere sospettato, fino al Concilio Vaticano II, di mascherare idee eterodosse.
Sotto questo profilo, il tentativo della teologia contemporanea (almeno nelle forme ufficialmente approvate dal magistero ecclesiastico), più che in una ripresa pura e semplice delle teorie dei modernisti, è consistito nell’integrare diverse loro intuizioni – scremate degli aspetti più ‘eversivi’, come la contestazione stessa dell’autorità della gerarchia – nell’impianto della teologia ‘classica’. Naturalmente, i tradizionalisti più rigidi diranno che questo approccio rappresenta un tradimento della prassi plurisecolare della Chiesa, un allontanamento dalla sua tradizione, e rimpiangeranno il modo in cui veniva insegnata la teologia ai tempi di Gregorio XVI e di Pio IX. Il punto è che una simile intransigenza, in questo campo, non solo è molto miope, ma anche in contraddizione con la qualifica di ‘tradizionale’ di cui volentieri si ammanta.
Nella sua tradizione, infatti, il cristianesimo non si è mai sottratto dal fare precisamente ciò che viene rimproverato al Concilio Vaticano II, cioè di aver introiettato le istanze di un movimento di matrice acattolica, smussate dei loro angoli più estremi, nell’insegnamento ufficiale della Chiesa. Lo ha fatto alle sue origini, con l’impiego da parte di Paolo di Tarso delle categorie di pensiero del mondo (greco-)romano per diffondere una fede, quella in Gesù di Nazareth, di origine giudaica. Lo ha fatto nel II-III secolo, quando la scuola alessandrina ha tratto non poco – sia pure in una forma depurata degli elementi inconciliabili con l’ortodossia della Grande Chiesa – dalle correnti gnostiche. Lo ha fatto anche nel Medioevo, quando Tommaso d’Aquino, nel porre quelle che sarebbero rimaste le basi della teologia speculativa moderna fino ancora a pochi decenni fa, ha seguitato ma anche sfrondato l’aristotelismo del proprio maestro Alberto Magno delle sue punte razionalistiche. E, a sua volta, la Chiesa tridentina ha inglobato molto, in seno alla sua riforma, delle tendenze classicistiche del Rinascimento.
Insomma, la stessa intelaiatura della teologia insegnata nei seminari sotto Gregorio XVI o Pio IX non si sarebbe potuta costituire, senza questa costante tendenza assimilatrice della cultura cristiana. Per un cattolico, quindi, addebitare alla Chiesa postconciliare di aver agito in modo contrario alla sua tradizione integrando aspetti del pensiero modernista nella propria riflessione teologica – e fantasticare che la restaurazione della teologia preconciliare equivarrebbe a ritornare a quella tradizione –, è un’implicita delegittimazione di sé stesso, e denota un approccio, esso davvero, poco ‘tradizionale’.
La fede cristiana e il metodo storico-critico – che è come dire fede e scienza – camminano lungo binari paralleli, non opposti. Sono vie diverse ma non incompossibili, se rimangono entrambe strutturalmente aperte alle possibilità offerte dall’altra. E per la Chiesa, per la sua genesi e la sua storia, aprirsi al progresso e alle conquiste della scienza non è tradimento, ma inveramento della propria dottrina più genuina: «Ogni scriba divenuto discepolo del regno dei cieli è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche» (Mt 13,52).
@Paola. Parto dalla sua soddisfazione x Faggin su ‘coscienza’. La informo che da ben 25 anni fior di scienziati ogni anno si trovano a Tucson x discuterne. Con esiti miseri visto che ci sono una 15ina di scuole/interpretazioni DIVERSE.Forse dovrebbero prima concordare cosa significa Coscienza.
Vengo al msg, costellato di tesi panteistiche, se vuole le elenco 6 o 7.
Cosa direbbe a chi sostiene che quel fiore ha forma/colori/odori più che determinati dalla evoluzione del Bios?
Loro direbbero che lei si sta attaccando al dio tappabuchi…Brutta figura! Se se poi le snocciolassero le brutture e le cattiverie e le ingiustizie per cui è passato il divenire dell’Universo, e di tutto il Bios?! Nelle quali non potrebbe certo decantare la presenza di Dio. Il suo Soffio!
Mi creda. è molto più serio dire che Dio ha dato atutto quello che noi chiamiamo Creazione la PIENA libertà, anche xchè è questo che ci dice la RAGIONE.
Spero si renda conto della in-congruenze.
Sempre sul tema fede&ragione e in particolare sul filone quantistico£@@
mi attacco a tutti quelli che attribuiscono alla materia a livello quantistico sia la coscienza sia il libero arbitrio sia collegamenti al TUTTO olistico che poi sarebbe Dio ( che loro chiamano UNO.)
Federico Faggin, padre Gasperini, dom Barban, Spong, Talbot e altri.
A parte il fatto che x i miei studi sia coscienza che FW sono funzioni superiori prettamente umane che non hanno nulla a che fare con il principio di sovrapposizione e l’EPR quantistici..
Ma anche se fosse vero l’assunto iniziale la mia domanda è:
Come mai coscienza/FW/olismo non sono presenti in tutti gli stadi intermedi tra micro&uomo? Se si tratta di fatto spirituale, visto che lo associano all’UNO.. la differenza di “materia” non dovrebbe giocare..
Come sarei contento se mi si dicesse dove sbaglio!
Caro Pietro, non capisco nulla di fisica, ma, secondo me, tutto possiede, non come un di più,
esterno a sé, ma come costituente essenziale, il Soffio, la Coscienza, a stadi più o meno latenti.
Come non vedere il Mistero in un fiore che sboccia?
Perché ridurre Dio a un qualcosa di differente?
Ciò che si differenzia, è una cosa finita.
Ma Dio vive in ogni cosa, e ogni cosa vive in Dio.
Percepire la Presenza in ogni cosa.. abbiamo la possibilità di andare oltre e conoscere con la ragione, che sa interpretare il cuore, ma vogliamo a tutti i costi restare al buio, non elevarci.
Non per umiltà, mi permetta, ma per mancanza di Fede/Fiducia in noi e nella stessa Vita che ci abita..
Scienza e fede, ragione e cuore, si riconciliano laddove c’è desiderio sincero di andare oltre, per Amore della Vita, intera, non di una parte..
Non è meraviglioso che anche la scienza, penso a Faggin, provi a indagare la Coscienza?
Perché chiudersi possibilità? Questo non è umano!
Finalmente i temi di oggi, anche se visti da un pdv di ieri… Quando se dicevi qs cose ti beccavi del “protestante”!!! Vogliamo guardare.. se non al futuro almeno all’oggi?
Oggi che mi sento dire che un dom propaga teologia QUANTISTICA!!
PRIMA TESI: basta contrapporre fede e ragione!
Chi spaccia tesi e visioni illogiche/irrazionali è OUT.
SECONDA: interpreto Paola: da lettura della Parola ad litteram o scientifica si DEVE passare a quella metaforica. Consegue che:
TERZA: Necessaria pulizia di tutto Quanto in essa è antropomorfico ( PadreMadreFiglii ecc)
QUARTA: Profonda e argomentata revisione di creazione/incarnazione/rivelazione/antropologia/Bios animale e vegetale ma anche di Dio&Uno oltre che di coscienza&libero arbitrio.
Qui ci si gioca TUTTO.
Secondo me, ciò che va evitato, quando si parla di Scritture, che non sono libri di storia, è un certo letteralismo.
Da entrambe le parti.
Occorre leggere “oltre”..
Una sana esegesi, che eviti ogni tipo di fondamentalismo, può ancora essere di aiuto, a parer mio.
Dal Cristo, separato dall’umano, all’uomo Gesù, leader violento nella lotta anti romana, è un attimo..
Se la fede descrive il vero, non può essere in opposizione alla ragione .
Ci può essere del vero forse più in un racconto mitico, che va all’Essenza delle cose, che in un discorso razionale storico, letto e interpretato in modo limitato.
Le Scritture, secondo me, sono scritte per toccare Verità interiori, elevate e innate in ogni essere umano..
Dove c’è Verità, c’è unità.
Dove c’è separazione, c’è errore.
Secondo me.