Ho una quarta molto brava. Da anni non avevo una classe così interessata e sveglia. E quando siamo arrivati alla questione del peccato non si sono smentiti.
“Ok, ragazzi, la parola peccato cosa evoca a voi, cosa vi richiama?” “Bhè, prof. un peccato è una cosa che non si deve fare. C’è una regola che ti dice di non fare una cosa e tu la fai lo stesso”. Luca è uno dei più partecipi, ma è molto istintivo. Così spesso è la voce inconsapevole della risposta che mediamente circola nell’aria. “Il peccato è rompere la fiducia che si ha con Dio”. Sabrina invece è una delle anime più profonde della classe, che spesso si fa voce, altrettanto inconsapevole, della parola più sperata e attesa.
“Ecco ragazzi, in queste due definizione avete la differenza tra il concetto vagamente religioso di peccato e l’idea specifica del cristianesimo. Per il cristianesimo il peccato è come dice Sabrina, la rottura della relazione con Dio, e non tanto l’infrazione di una regola. Quale vi sembra la differenza più grossa tra le due definizioni?”. Per un attimo il silenzio. Ma li conosco, è un silenzio “pensante”. Così Andrea: “Mah, prof. a me sembra che Sabrina dica una cosa più.. come dire, più.. viva, cioè reale… Cioè prof. come lo dice Luca, il peccato è una roba solo di chi lo fa, tra lui e la legge, lui e la regola. Quello che dice Sabrina è un cosa che c’entra con Dio; insomma… se uno ci crede… il peccato è un po’ come tradire Dio. Però allora non capisco, prof., perché sia un tradimento a Dio se io vado con una prima di essere sposato con lei, per esempio… cosa c’entra Lui, ammesso che esista…”
“Ottimo Andrea. Senza volerlo hai aperto una questione essenziale per il cristianesimo. Se mi ascoltate 10 minuti provo a rispondere! Per il cristianesimo i peccati esistono in rapporto a Dio. Se non c’è relazione con Dio non si può parlare di peccati, ma al massimo di colpe, nelle vostre azioni. Si può parlare di una condizione di peccato, intesa come rifiuto nostro di avere a che fare con Dio, che è il peccato più grave perché impedisce a Dio di poter raggiungerci con il suo amore. Ma a quel punto noi restiamo soli con noi stessi e, come Andrea ha ben colto, quello che chiamiamo peccato è in verità tutto giocato tra noi e noi, perciò sarebbe meglio chiamarlo colpa. E la colpa ha proprio questo di particolare, che da soli non riusciamo a cavarci. Il senso di colpa è proprio la testimonianza di questo. Ci sentiamo male per quello che abbiamo fatto, e contemporaneamente pensiamo che non ce la faremo a cambiare, nonostante lo vogliamo. Perciò è quasi certo che ripeteremo quella brutta azione.
Quando invece coltiviamo una relazione con Dio e facciamo qualcosa di male è come se pensassimo che Lui si è offeso perché noi siamo stati cattivi. E per questo noi non crediamo più che lui ci voglia bene. Il cristianesimo ci dice invece che Dio non si offende mai, non è come noi che ci sentiamo offesi se non siamo amati come vorremmo, perché abbiamo bisogno di sentirci importanti per qualcuno. Lui non ha bisogno di sentirsi importane, lui sa bene quanto vale e perciò nulla e nessuno può davvero far si che si offenda. E, anzi, il cristianesimo ci dice che Lui ci continua a voler bene, anzi ce ne vuole di più, quando sbagliamo, perché solo con il suo amore possiamo tornare a pensare che possiamo davvero cambiare. Perciò quando chiediamo perdono a Lui è perché già abbiamo sentito che Lui continua ad amarci. Se non fosse così nemmeno glielo chiederemmo. Questo si chiama senso di peccato, cioè la convinzione che con il suo aiuto il mio male può essere cambiato”.
“Ma prof. allora Dio non si arrabbia quando noi pecchiamo, non se la prende?” “No Luca, Dio non se la prende mai. E’ un’idea davvero piccola e limitata quella di chi pensa che Dio se la prenda. Questo non vuol dire che noi non facciamo del male, ma l’effetto negativo ricade su noi stessi e sulle persone a cui lo facciamo. Dio è addolorato perché noi non siamo felici e il male che facciamo rende il mondo un posto meno felice per tutti”.
“Ma allora, prof. siamo stupidi a farci del male da soli, o no?” “Non è che siamo stupidi. E’ che noi quel male lo immaginiamo come una cosa buona, ma non ci rendiamo conto che il bene che cerchiamo dentro a quell’azione, lo cerchiamo senza tener conto di tutto il resto del bene. Mangiare un panino è una cosa buona di per sé. Ma se cerco di mangiare un panino mentre guido la macchina rischio di perdere un bene maggiore, la mia vita, per un bene minore, il piacere del panino. E’ un esempio piccolo, ma l’idea è la stessa anche per lo azioni più importante. Noi scegliamo il male cercando di raggiungere un bene attraverso quello, ma così facendo rischiamo di rovinare un bene ancora più grande che, se ottenuto, ci darebbe ancora più felicità. Il male non è la presenza di qualcosa di malvagio in sé, ma l’assenza di un bene intero, negato dalla ricerca di un bene parziale”.
“Bèh, prof. non mi pare però che di solito in Chiesa lo si spieghi così. Cambierebbero un po’ le cose se fosse davvero così”. “Forse hai ragione Andrea”.