Viaggio di andata e ritorno

Al termine di un mandato politico o di un servizio ecclesiale è necessario "staccare" e lasciar spazio ad altri
20 Ottobre 2020

Viaggio di andata e ritorno

di Maria Teresa Pontara Pederiva

 

Era già accaduto mesi fa: dopo aver fatto il sindaco del capoluogo e poi il presidente della Provincia autonoma di Trento, Alberto P. era tornato al suo lavoro di psicologo presso l’Azienda sanitaria provinciale. Una parentesi chiusa, con onore e fra la gratitudine di tanti.

Ora la storia si ripete e il nostro sindaco Alessandro A. torna al suo lavoro di docente di lettere al liceo scientifico della scuola cattolica diocesana: un’altra parentesi che si chiude. Ancora una volta con onore, e tanta gratitudine.

Paolo VI era solito ricordare che “la politica è la più alta forma di carità”, dove carità significa amore per il prossimo, senza differenze per la religione professata, la cultura, il colore della pelle, la lingua, la provenienza … un esplicito invito ai cattolici a fornire un significato concreto alla politica come un “servizio”. Ma anche un invito a mettersi a servizio quando occorre, disposti a “lasciare” quando qualcun altro può prendere il tuo posto e magari continuare (chissà, forse anche meglio) il tuo lavoro. Un invito a mettersi a disposizione, non ad occupare un posto per non lasciarlo più, perché fare politica non è restare tenacemente attaccati ad un ruolo, quanto piuttosto promuovere sensibilità in altri, educare all’impegno, far crescere le persone … E’ la presenza di un cristiano nel sociale, una presenza fatta di lievito nella pasta, di testimonianza, di carità verso il prossimo qualunque esso sia, fosse anche un “avversario” politico, uno dell’”altra sponda”, uno che potrebbe anche attaccarti pesantemente per quello che sei o che fai, ma un cristiano è abituato a porgere l’altra guancia, a non rispondere male per male, a non lasciarsi trascinare in polemiche fine a se stesse, a continuare il proprio impegno anche se costa fatica, se non trova consensi, se viene osteggiato …

Non era stata la fine di un mandato a far rientrare nella sua Valsugana un altro trentino, come Alcide Degasperi – figura richiamata spesso, a proposito o a sproposito, come prototipo del cristiano in politica – quanto piuttosto l’amara constatazione di non poter scendere a patti con la sua coscienza. L’importante era il “lasciare”, il sapersi distaccare da un ruolo, che qualunque esso sia, non esaurisce la tua esistenza. Un problema analizzato anche dalla psicologia: non è vero che l’abito faccia il monaco, come recita l’adagio. Una persona è tale in sé, non per la carica che ricopre. Ma non è raro incontrare chi vive con disagio persino il ritirarsi in pensione, alla rincorsa di un ruolo dal quale non ci si può staccare (quante giustificazioni addotte!), pena l’oblio.

E ciò vale per tutti, anche per quanti hanno consacrato la propria vita al Signore (abbiamo sperimentato nella Chiesa anche il ritirarsi di un papa come Joseph Ratzinger): dopo incarichi a livello nazionale un prete fa il parroco, non di una, ma di un grappolo di parrocchie. E’ sempre un viaggio di andata e ritorno, riconoscendosi “servi inutili”: lungi dall’essere una rinuncia al servizio, è l’accettare un “altro” servizio, in semplicità e umiltà, a riflettori spenti. Un servizio meno visibile, forse: un “ritorno”, vuoi in famiglia e al proprio lavoro per un laico, o a servizio della comunità per un prete. … e già sono all’orizzonte nuovi candidati, per un altro servizio, un altro viaggio di andata … che già attende il ritorno.

 

2 risposte a “Viaggio di andata e ritorno”

  1. Dario Busolini ha detto:

    Quanto è vero ed opportuno questo principio ma quanto è difficile da applicare, persino negli incarichi di minore importanza e non remunerati, figuriamoci in quelli che garantiscono una certa notorietà e una fetta di potere! Non a caso Santa Madre Chiesa, nella sua lunghissima storia, dovendo spesso scegliere tra l’umana aspirazione all’eternità degli incarichi e l’indigesto ritorno all’oscurità delle origini ha inventato ed optato per il fine compromesso del “promovetur ut amoveatur”, ovvero per poter dare ad un altro il tuo posto ti promuovo ad un grado maggiore. Pratica che oggi, però, non appare più sostenibile visti gli scandali di cui si rendono protagonisti tanti promossi. Finché, a tutti i livelli, non impareremo davvero che servire la Chiesa non vuol dire servirsi della Chiesa sarà difficile che possa cambiare qualcosa.

  2. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    Sarebbe bene fosse così, ma ci sono persone che hanno solo aspirazione a occupare posti di potere e perseguono quello scopo, e neppure risultati deludenti servono a dissuaderli dalla decisione di lasciare, ben decisi, convinti che comandare è solo da loro!fanno storia in ogni tempo, sia tra laici che in campo religioso. Purtroppo sono sordi e ciechi, non sono toccati da come la gente vive, il loro operato sfiduciato! togliere loro il censo e il lavoro sarebbe giusto e doveroso quando e la comunità a patirne. Altro è quella Persona che avendo dato tutto il proprio contributo alla causa. Ha la saggezza e l’umiltà, che lo fa esempio a chi gli succede, Ecco perché in certe circostanze vanno ricordati certi Uomini che il potere l’hanno onorato,anche insigniti del Nobel per la Pace vivono nel nascondimento. Meritano un saluto e un grazie da tutti noi che li ricordiamo nel segno della pace

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