Ridateci i moderati. Ma quelli veri

La moderazione è incompatibile con gli egoismi. Dobbiamo dirlo forte e chiaro in questo tempo in cui la questione sociale è tornata drammaticamente alla ribalta
23 Ottobre 2012

Le elezioni si avvicinano, la politica è in pieno movimento e – come sempre accade nel nostro Paese – spunta fuori la solita espressione magica: «bisogna intercettare il voto dei moderati». Confesso che quando la sento, ormai, provo un senso di nausea. Esattamente come quando un cibo molto buono ti è stato propinato così tante volte da non fartelo più nemmeno gustare.

Sì, alla fine è proprio questo a darmi fastidio: l’uso disinvolto di un termine che, invece, implicherebbe un percorso tremendamente impegnativo. Perché, in teoria, la strada della moderazione dovrebbe essere la più ardua per un uomo politico. Quella in cui non si sta comodamente schierati da una parte o dall’altra della barricata, ma ci si pone nel mezzo, esponendosi ai colpi tanto degli uni quanto degli altri; si fa la spola da una parte all’altra per provare a dare risposte a tutti. Lo schieramento dei moderati dovrebbe essere il luogo per eccellenza dell’inclusione, quello di chi cerca di non lasciar fuori nessuno. E dunque dovrebbe essere anche il luogo dove ci si logora per eccellenza, alla ricerca di quella sintesi sempre faticosa che è il bene comune.

Già, dovrebbe. Perché da troppo tempo ormai non è più così. Secondo me il vero problema della politica di oggi è l’aver trasformato la moderazione in un impalpabile centrismo. Averlo reso una posizione che ha come obiettivo fondamentale salvaguardare gli interessi della maggioranza «trovando la quadra». Moderazione è diventato sinonimo di «non esagerare», di obiettivi politici di corto respiro. Il moderatismo dell’equilibrista ha preso il posto di quello dei mediatori. Non è stato forse questo atteggiamento da pensiero debole ad averci condotto – non solo in Italia – nel mezzo di una crisi economica che è anche profondamente etica?

Io credo che questa eclissi dei moderati sia una questione che chiama in causa in maniera particolare i cattolici. Quelli che, in una politica intesa come servizio, dovrebbero fare proprie le parole di san Paolo: «Mi sono fatto tutto a tutti». Dobbiamo soprattutto tornare a dire una verità di fondo: la moderazione è incompatibile con gli egoismi. E dobbiamo dirlo forte e chiaro in questo tempo in cui la questione sociale è tornata drammaticamente alla ribalta. Chi sguazza nella casta con uno stile di vita da nababbo non può prenderci in giro venendo a dire che è un moderato. Chi piega il proprio voto in Parlamento agli interessi di una lobby, non è un moderato. Chi non scende di persona in piazza ad ascoltare il grido dei senza lavoro perché ha paura dei fischi, non è un moderato. Ma anche chi difende a oltranza come «diritti acquisiti» situazioni alla lunga insostenibili, riservando ai giovani solo belle parole, non è un moderato.

Ci siamo lasciati scippare fin troppo le parole: è ora di riprendercele. È ora di ricordare a tutti che nel vocabolario italiano moderazione è sinonimo di sobrietà. E che tante volte nella storia i moderati sono stati quelli che hanno avuto il coraggio di andare incontro alle sconfitte pur di rimanere fedeli alle proprie idee. Permettendo in questo modo, poi, ad altri che ne hanno raccolto il testimone di vincere quelle stesse battaglie.

Mi piacerebbe un giorno sentire un politico a cui trema la voce nel momento in cui si presenta come un moderato. Vorrebbe dire che ha capito quale profonda responsabilità si sta assumendo davanti a tutti noi.

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