Per una rinnovata cultura del lavoro

Diversamente da quanto spesso percepito dall'immaginario pubblico ed ecclesiale c'è una profonda continuità nell'insegnamento sociale tra Benedetto e Francesco.
2 Dicembre 2016

L’insegnamento sociale della Chiesa dell’ultimo decennio ha richiamato all’attenzione con continuità e coerenza i temi legati alla crisi sociale, occupazionale e della dignità del lavoro. Contrariamente a quanto spesso percepito dall’immaginario pubblico ed ecclesiale – che associa normalmente il maggiore interesse verso queste tematiche al pontificato di Francesco – dobbiamo la prima lucida analisi della gravità e criticità delle dinamiche in gioco a Papa Benedetto.

Già nel 2009 questi affermava con forza che “lo sviluppo economico è stato e continua a essere gravato da distorsioni e drammatici problemi, messi ancora più in risalto dall’attuale situazione di crisi. Le forze tecniche in campo, le interrelazioni planetarie, gli effetti deleteri sull’economia reale di un’attività finanziaria mal utilizzata e per lo più speculativa, gli imponenti flussi migratori, spesso solo provocati e non poi adeguatamente gestiti, lo sfruttamento sregolato delle risorse della terra, ci inducono oggi a riflettere sulle misure necessarie per dare soluzione a problemi di impatto decisivo per il bene presente e futuro dell’umanità” (Caritas in veritate, 21).

Nella stessa enciclica Benedetto osservava con preoccupazione che “il mercato ha stimolato forme nuove di competizione tra Stati, mediante vari strumenti, tra cui la deregolamentazione del mondo del lavoro. Questi processi hanno comportato la riduzione delle reti di sicurezza sociale in cambio della ricerca di maggiori vantaggi competitivi nel mercato globale, con grave pericolo per i diritti dei lavoratori, per i diritti fondamentali dell’uomo e per la solidarietà attuata nelle tradizionali forme dello Stato sociale. Le politiche di bilancio, con i tagli alla spesa sociale, spesso anche promossi dalle Istituzioni finanziarie internazionali, possono lasciare i cittadini impotenti di fronte a rischi vecchi e nuovi; tale impotenza è accresciuta dalla mancanza di protezione efficace da parte delle associazioni dei lavoratori” (CIV, 25).

A proposito della riduzione delle tutele dell’azione sindacale, proseguiva scrivendo: “L’insieme dei cambiamenti sociali ed economici fa sì che le organizzazioni sindacali sperimentino maggiori difficoltà a svolgere il loro compito di rappresentanza degli interessi dei lavoratori, anche per il fatto che i Governi, per ragioni di utilità economica, limitano spesso le libertà sindacali o la capacità negoziale dei sindacati stessi. Le reti di solidarietà tradizionali trovano così crescenti ostacoli da superare”.

Di conseguenza il pontefice sollecitava una rinnovata cultura dell’associazionismo e dei corpi intermedi, secondo la consolidata tradizione della dottrina sociale, enfatizzando in special modo – riecheggiano qui le riflessioni di Bauman – la dolorosa ricaduta della precarietà lavorativa sulla frammentazione esistenziale e dei progetti di vita: “l’invito della dottrina sociale della Chiesa a dar vita ad associazioni di lavoratori per la difesa dei propri diritti va pertanto onorato oggi ancor più di ieri, dando innanzitutto una risposta pronta e lungimirante all’urgenza di instaurare nuove sinergie a livello internazionale, oltre che locale. Quando l’incertezza circa le condizioni di lavoro, in conseguenza dei processi di mobilità e di deregolamentazione, diviene endemica, si creano forme di instabilità psicologica, di difficoltà a costruire propri percorsi coerenti nell’esistenza, compreso anche quello verso il matrimonio. Conseguenza di ciò è il formarsi di situazioni di degrado umano, oltre che di spreco sociale. Rispetto a quanto accadeva nella società industriale del passato, oggi la disoccupazione provoca aspetti nuovi di irrilevanza economica e l’attuale crisi può solo peggiorare tale situazione” (CIV, 25).

Nella medesima enciclica Papa Ratzinger concludeva affermando che “La dignità della persona e le esigenze della giustizia richiedono che le scelte economiche non facciano aumentare in modo eccessivo e moralmente inaccettabile le differenze di ricchezza e che si continui a perseguire quale priorità l’obiettivo dell’accesso al lavoro o del suo mantenimento, per tutti. L’aumento sistemico delle ineguaglianze tra gruppi sociali all’interno di un medesimo Paese e tra le popolazioni dei vari Paesi non solamente tende a erodere la coesione sociale, e per questa via mette a rischio la democrazia, ma ha anche un impatto negativo sul piano economico, attraverso la progressiva erosione del «capitale sociale», ossia di quell’insieme di relazioni di fiducia, di affidabilità, di rispetto delle regole, indispensabili ad ogni convivenza civile” (CIV, 32).

Nel solco delle parole di Papa Benedetto, l’insegnamento di Francesco si pone in una linea di assoluta continuità: “Quante parole sono diventate scomode per questo sistema! Dà fastidio che si parli di etica, dà fastidio che si parli di solidarietà mondiale, dà fastidio che si parli di distribuzione dei beni, dà fastidio che si parli di difendere i posti di lavoro, dà fastidio che si parli della dignità dei deboli, dà fastidio che si parli di un Dio che esige un impegno per la giustizia” (Evangelii Gaudium, 203).

Colpisce in modo particolare l’insistenza di Papa Bergoglio sul tema del lavoro, in specie sulla necessità di attivare politiche capaci di fare fronte al male gravissimo della disoccupazione giovanile: “Come possiamo fare partecipi i nostri giovani della costruzione europea quando li priviamo di lavoro; di lavori degni che permettano loro di svilupparsi per mezzo delle loro mani, della loro intelligenza e delle loro energie? Come pretendiamo di riconoscere ad essi il valore di protagonisti, quando gli indici di disoccupazione e sottoccupazione di milioni di giovani europei sono in aumento? Come evitare di perdere i nostri giovani, che finiscono per andarsene altrove in cerca di ideali e senso di appartenenza perché qui, nella loro terra, non sappiamo offrire loro opportunità e valori? La giusta distribuzione dei frutti della terra e del lavoro umano non è mera filantropia. E’ un dovere morale. Se vogliamo pensare le nostre società in un modo diverso, abbiamo bisogno di creare posti di lavoro dignitoso e ben remunerato, specialmente per i nostri giovani” (Discorso in occasione del ricevimento del Premio Carlo Magno, 6-5-2016).

Nella stessa circostanza Francesco proseguiva: “Perciò la realtà sociale del mondo di oggi, al di là degli interessi limitati delle imprese e di una discutibile razionalità economica, esige che «si continui a perseguire quale priorità l’obiettivo dell’accesso al lavoro per tutti» (Laudato si’, 127)”. La speciale sintonia col magistero di Benedetto emergeva peraltro già nel discorso di Papa Francesco al Parlamento Europeo di Strasburgo (25-11-2014): “E’ tempo di favorire le politiche di occupazione, ma soprattutto è necessario ridare dignità al lavoro, garantendo anche adeguate condizioni per il suo svolgimento. Ciò implica, da un lato, reperire nuovi modi per coniugare la flessibilità del mercato con le necessità di stabilità e certezza delle prospettive lavorative, indispensabili per lo sviluppo umano dei lavoratori; d’altra parte, significa favorire un adeguato contesto sociale, che non punti allo sfruttamento delle persone, ma a garantire, attraverso il lavoro, la possibilità di costruire una famiglia e di educare i figli“.

Sempre nell’ambito del contributo offerto da Francesco nel suo discorso al Parlamento Europeo, appare ricco di spirito profetico anche il riferimento all’educazione, così spesso segnata dalla deriva tecnocratica e funzionalista imposta dal dominante paradigma neoliberista: “L’educazione non può limitarsi a fornire un insieme di conoscenze tecniche, bensì deve favorire il più complesso processo di crescita della persona umana nella sua totalità. I giovani di oggi chiedono di poter avere una formazione adeguata e completa per guardare al futuro con speranza, piuttosto che con disillusione”.

In un successivo post passeremo dall’analisi del magistero sui temi sociali, occupazionali e formativi, all’avvio di una disamina accurata della crisi dei Paesi della periferia dell’eurozona, con particolare attenzione al contesto italiano.

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

I commenti devono essere compresi tra i 60 e i 1000 caratteri. I commenti sono sottoposti a moderazione da parte della redazione che si riserva la facoltà di non pubblicare o rimuovere commenti che utilizzano un linguaggio offensivo, denigratorio o che sono assimilabili a SPAM.

Ho letto la privacy policy e accetto il trattamento dei miei dati personali (GDPR n. 679/2016)