«La Chiesa deve venire a dialogo col mondo in cui si trova a vivere. La Chiesa si fa parola; la Chiesa si fa messaggio; la Chiesa si fa colloquio»: è questo, forse, il paragrafo che imprime e simboleggia uno dei tornanti della vita della Chiesa cattolica e del pensiero cristiano. È un paragrafo centrale [67] dell’enciclica Ecclesiam suam (6 agosto 1964), con cui Paolo VI apriva di fatto il pontificato e costruiva il ponte di sim-patia con la modernità, sulla scia del Concilio in corso e di Giovanni XXIII.
Varrà la pena, in questi giorni in cui ricordiamo i 60 anni dalla promulgazione dell’Ecclesiam suam, passare da Concesio, a pochi chilometri da Brescia, dove Giovanni Battista Montini nacque.
Tre luoghi, nella cittadina, possono darci lo spessore e il valore dell’opera e della persona di Montini: la pieve di sant’Antonino, dove è stata costruita una ‘cappella di luce’ attorno al fonte battesimale in cui Giovanni Battista divenne cristiano: «Io penso, qui davanti alla morte, maestra della filosofia della vita, che l’avvenimento fra tutti più grande fu per me, come lo è per quanti hanno pari fortuna, l’incontro con Cristo, la Vita» (Pensiero alla morte).
Il pellegrino potrà poi spostarsi alla casa natale di Paolo VI, ora museo: lì si sfiora quel retroterra di relazioni, di studi, di impegni che la famiglia Montini coltivò, in prima linea, anche nella residenza estiva, e che alimentarono l’intelligenza viva e libera (e antifascista) del futuro papa. Lì si può capire l’apertura della ricerca e la coerenza di adesione alla fede, anche a livello intellettuale: «Non mi basti essere un fedele; mi sia doveroso essere un apostolo. Perciò amerò. Amerò ancora innanzitutto la Verità confidatami da Dio, chiedendo a Lui la grazia di difenderla, senza esitazioni, restrizioni, compromessi e di professarla, scevra da esibizioni, con pura libertà e cordiale fortezza di spirito, e di mostrarmi sempre coerente, nel pensiero, nella parola, nell’azione. Ma gli altri non si accorgano facilmente di questa interiore offerta alla Verità, e solo s’avvedano che i miei rapporti con essi sono sempre improntati ad una grande umiltà, ad una grande bontà» (nota del 1930).
E, infine, rimane d’obbligo una visita all’Istituto Paolo VI e alla sua ricca collezione d’arte: l’attenzione rinnovata per la cultura, per il pensiero, per lo studio e per tutto ciò che poi diviene espressione artistica sono una della grandi cifre del sacerdote, dell’educatore e poi del vescovo Montini, alla ricerca di una ricucitura con il mondo artistico dopo un lungo periodo di conflitto: «Rifacciamo la pace? quest’oggi? qui? Vogliamo ritornare amici? Il Papa ridiventa ancora l’amico degli artisti? Volete dei suggerimenti, dei mezzi pratici ? Ma questi non entrano adesso nel calcolo. Restino ora i sentimenti. Noi dobbiamo ritornare alleati. Noi dobbiamo domandare a voi tutte le possibilità che il Signore vi ha donato» (Omelia per la Messa degli artisti, 7 maggio 1964).
È una collezione di arte contemporanea che sgorga dalla volontà del pontefice bresciano e che merita davvero la visita: Dalì, Fontana, Longaretti, Guitton, Carpi, Scorzelli, Pomodoro, Bellotti e altri artisti sono lì convocati, con opere che testimoniano uno dei percorsi che l’arte e la fede possono compiere insieme se smobilitano conflitti e timori.
A Concesio il viandante potrà così unire i fili di un modo nuovo di essere cristiani nel tempo che viviamo, in un dialogo esigente con chi incontriamo, pronti all’ascolto, rinnovando un poco la memoria e l’eredità feconda di Paolo VI.
(ph: Bellotti Dina, Paolo VI in udienza, 1968-1970, Collezione Paolo VI, Concesio)