«Non posso fare a meno di continuare a domandarmi se, in quest’epoca in cui una parte così grande dell’umanità è sopraffatta dal materialismo, Dio non voglia che vi siano uomini e donne che, pur essendosi votati a lui e al Cristo, rimangano fuori della Chiesa»: è forse in questo paragrafo che si racchiude il mistero della vita e della fede di Simone Weil (1909-1943), filosofa tra le più intelligenti e libere del Novecento. È un paragrafo, incastonato in una lettera a padre Perrin del 19 gennaio 1942 (raccolta in Attesa di Dio, magnifico testo che non andrebbe mai dimenticato), che dice la vocazione di una giovane donna intensamente percorsa da una compassione e da una sintonia con il mondo affaticato, povero, sofferente (anche per mancanza di fede) di altezze uniche.
Sono molti i luoghi da cui Simone Weil ha tratto linfa e ispirazione, luoghi che ne hanno nutrito la sua formazione e il suo percorso umano, prima che intellettuale: Parigi, Marsiglia, Solesmes, Londra. Ma, forse, per cogliere la tensione interna della filosofa divenuta mistica, per intuire la sua costante dialettica interiore, il suo sguardo penetrante sulla realtà, che la conduce dalle aule universitarie alle scuole, dalla campagna alla città, dalle fabbriche ai campi, sempre sulla frontiera — anche tra fede e ateismo —,per poter sfiorare tutto questo incandescente materiale, sono forse due i luoghi, tra loro non lontani, in cui sostare in serena meditazione. Uno è la cittadina francese di Le Puy-en-Velay (Alta Loira), l’altro è la regione collinare dell’Ardèche (Alvernia).
A Le Puy-en-Velay Simone Weil ebbe il suo primo incarico di insegnamento scolastico, come docente liceale di filosofia: è un borgo, che custodisce una bellissima cattedrale, che rappresenta quella sintesi tra speculazione intellettuale e attività professionale, tra pensiero e azione, tra io e mondo che sono uno dei tratti della visione teoretica e sociale di Simone Weil.
È un periodo, quello dell’insegnamento cominciato in Alvernia, che durerà diversi anni e riguarderà altre scuole di Francia; ella diviene un’insegnante disponibile a farsi interiormente interessare da coloro a cui insegna, in un luogo periferico del paese, che diventa così luogo di elaborazione e osservazione. È il momento dell’attenzione quotidiana all’altro, cardine della sua esistenza, sia l’altro una studentessa, un operario di fabbrica, un povero: «La pienezza dell’amore per il prossimo è semplicemente la capacità di domandargli: “Qual è il tuo tormento?”. È sapere che lo sventurato esiste non come elemento di un insieme, non come esemplare della categoria sociale che porta l’etichetta di «sventurati», ma in quanto uomo, esattamente tale e quale noi, un uomo che un giorno è stato colpito dalla sventura con il suo marchio inimitabile. Per questo motivo saper posare su di lui un certo sguardo è sufficiente ma indispensabile» (Attesa di Dio).
Allo stesso modo, l’Ardèche è il luogo della meditazione e del lavoro a contatto (salvifico) con la natura, presso la casa contadina di un altro filosofo, Gustave Thibon (1903-2001): lì, a Saint-Marcel-d’Ardèche, Simone Weil è inviata da padre Perrin, il domenicano amico con cui è in corrispondenza, per ristorarsi e per auscultare i movimenti del suo intimo. Sono i mesi in cui ella recita ogni mattina il Padre nostro in greco e da cui scaturirà il suo finissimo e fecondo A proposito del «Pater»: « Nostri debitori sono tutti gli esseri, tutte le cose, l’universo intero. Pensiamo di aver crediti su ogni cosa. Ma tutti i crediti che crediamo di avere sono riconducibili a un credito immaginario del passato verso l’avvenire. È a questo credito immaginario che bisogna rinunciare».
Quei giorni spesi nel lavoro in campagna sono un semenzaio di serenità, pur nel travaglio della guerra: da lì nasceranno le ultime grandi architetture, le ultime grandi lezione di Weil, come La persona e il sacro (1942-1943): « “Lei non m’interessa” Queste sono parole che un uomo non può rivolgere a un altro uomo senza commettere una crudeltà e ferire la giustizia» (così l’incipit fulminante del piccolo e prezioso libro).
Unendo Le Puy-en-Velay con l’Ardèche, percorrendo la bellissima campagna francese, sapremo forse anche noi farci stupire dalla grandezza del creato e delle creature; sapremo forse — ricordando la profonda lezione di Simone Weil — richiamarci a un modo più compassionevole, più vicino e più attento di abitare la comunità del mondo, forse aprendo ancora qualche pagina di una grande pensatrice, la cui forza di esempio e di parola, nel contesto in cui viviamo, è attualissima: «L’attenzione intuitiva nella sua purezza è l’unica sorgente di un’arte perfettamente bella, di scoperte scientifiche veramente luminose e nuove, della filosofia che va veramente verso la saggezza, dell’amore del prossimo veramente caritatevole; rivolta direttamente verso Dio, essa è la vera preghiera» (Prima condizione di un lavoro non servile, 1941).
(ph: La campagna d’Ardèche, foto dell’autore)