«Il cristiano è potenzialmente innamorato di tutti perché si sa amato e in ogni persona vede – deve giungere a vedere – Cristo che la inabita». Lo scrive Emanuela Ghini; o, più precisamente, la giovane del suo Diario di una novizia (San Paolo 2024). L’Autrice, filosofa teoretica, da oltre sessant’anni monaca nel Carmelo di Savona, fa parlare una quindicenne degli anni 1950-51 che ritroviamo poi tra il 1958 e il 1961 in monastero. Benché l’Autrice preannunci due «parti dissimili», per via di un «cambiamento radicale, di cui non appaiono segni premonitori espliciti», tutto il libro è pervaso da una dimensione di preghiera, o perlomeno di attenta meraviglia. Prima di giungere ai Padri – uno su tutti, Teofilo di Antiochia: «Mostrami l’uomo che è in te, e ti mostrerò il mio Dio» – e all’orazione esplicita, già le iniziali descrizioni di ciò che è fuori di sé riflettono la ricerca di un’adolescente molto matura, fin troppo. Il suo affetto era già rivolto alla vita intera, «in ogni sua espressione, nella sua concretezza».
Anni dopo, la novizia riconoscerà la fisionomia del suo desiderio – Cristo dentro sé, e dimorare in Lui – lo chiamerà per nome: «Cristo figlio, che respiri nel Padre e vivi in lui, che palpiti e batti nel tuo cuore di carne in ogni cosa che partecipa di lui […] tienici in te, uniti a te, in te immersi a bere l’Immenso e a donarlo come Spirito d’Amore». La giovane si fa plasmare dalla Parola. Tanto le letture, quanto i volti filtrati dalle grate del parlatorio, si riflettono nella consapevolezza della religiosa, che apprende a generare e a lasciarsi ricreare. Al centro, la concretezza dell’Incarnazione, che «non esclude nulla».
Più di quanto l’Autrice ammetta, emerge un legame tra l’adolescente e la novizia. Si passa dalla preghiera “a-tematica” a quella esplicita, che dà parola a quanto vive. Tra silenzio e voce, dialoga sulla soglia di una «incomunicabilità» serenamente «accettata» – con gli altri e con il Signore, ma pure con la propria interiorità – tra l’epidermide e il fondo dell’anima, che sa appartenere unicamente a Dio.
Traspare la fatica di una gestazione, tra gioie e incomprensioni, tra l’inadeguatezza nel proprio accogliere e il desiderio di farlo meglio, consegnandosi con sorprendente, quanto spontanea, confidenza. La religiosa scopre negli altri «qualche aspetto di Cristo»: un raggio del Mistero – così lontano e, al contempo, così vicino – che ha il volto del suo Amato. Decide di farsi educare alla tenerezza, scorgendo il meglio nelle persone che incontra.
Il proposito di limitarsi nel Diario a descrivere le sole visite viene in fondo – grazie a Dio – tradito. Non mancano, infatti, considerazioni sugli albori del Concilio Vaticano II, con i suoi sogni ecumenici: la giovane ne è confortata, così come dal coraggioso papa Giovanni XXIII che lo ha inaugurato. Ma tutto ciò si inserisce nella più vasta tensione escatologica, tra il desiderio di eternità e la consapevolezza che essa «non è lontana», poiché avvolge l’esistenza: «Ogni tensione è già in qualche modo fruizione di ciò a cui si tende, ogni desiderio porta in sé il seme del suo compimento». Se «alla fine resta soltanto l’amore», è anche vero che «la fine è ogni momento», «teso al futuro e denso di presente». Lo «spazio senza tempo» del monastero la accoglie in una pienezza nuova, nella paradossalità del vuoto.
Animati da una curiosità forse un po’ indiscreta, ci si potrebbe domandare quanta biografia dell’Autrice sia entrata in questo Diario. Uno si aspetterebbe forse la seconda parte, quella della novizia; eppure potrebbero essere le pagine incantate dell’adolescente – come quelle sul viaggio in Inghilterra – le più vicine all’esperienza giovanile di Emanuela Ghini. Nella seconda sezione ha persino evitato riferimenti al proprio Ordine. L’importante è riconoscere, «nel cammino di ricerca di Cristo, la scoperta di essere cercati da lui». Tuttavia tra le righe non ha potuto fare a meno di sfiorare tasti cari al Carmelo teresiano, come il “nulla” e la scienza della Croce, dei quali l’Autrice inevitabilmente profuma.
Ma, in quello che definisce il suo «ultimo e definitivo libretto», Emanuela Ghini ha preferito offrire non tanto la sua autobiografia, quanto alcuni frammenti di una ragazza che impara a diventare Cristo, nella misura in cui sceglie di diventare sé stessa. E, attraverso la sua concretezza, spalancarci all’infinito. Insomma, «se ogni persona è un universo, come si potrà essere aperti a tutte? Ne basta una per percepire l’eterno».