Profeta e sapiente (o profeta sapiente o saggio profeta): sono epiteti che ben si addicono a Carlo Maria Martini, indimenticabile arcivescovo di Milano, perché la sapienza e la profezia, ricomposte in equilibrio e armonia, divennero il nucleo del carisma del cardinale gesuita eletto alla cattedra di Ambrogio. Ed è proprio tenendo come coordinate queste due virtù che Carlo Casalone, presidente della Fondazione Martini e a sua volta gesuita, ripercorre alcuni dei tratti più significativi dell’opera e del pensiero del confratello, in un denso e agile libro edito da Vita e Pensiero, dal titolo appunto Sapienza e profezia. L’eredità intangibile di Carlo Maria Martini (con prefazione di Pietro Bovati, 154 pagine, 15 €).
Ma come giunse il cardinale biblista a maturare in sé sapienza e profezia, ossia quella lucida visione del mondo, quel coraggio di pensiero e parola, quella capacità di leggere cuori e tempi? È questa una domanda che anima le pagine di Casalone, e che trova risposta in tre grandi radici della spiritualità di Martini, via via affinate e riconsiderate dal cardinale: si tratta della Bibbia, della formazione gesuitica alla preghiera e, infine, del primato dell’interiorità. Sono tre direttrici di sviluppo, intrecciate indissolubilmente, e che danno anche il titolo alle tre sezioni del volume, volte a dipingere un affresco sintetico di ciò che Martini ha fatto depositare in sé per poi comunicare e far crescere in altri.
Così la Bibbia, libro prediletto, «libro educativo» per antonomasia per la ricchezza e la forza che la Parola di Dio sprigiona, libro soprattutto per il futuro e per l’Europa. Una Bibbia che deve essere accostata, custodita, meditata, secondo il recupero della lectio divina, posta in parallelo con la grande tradizione ignaziana degli Esercizi (che Martini predicò con fecondità per molto tempo, in un originale sintesi tra Scrittura e metodo gesuitico). È un ruminare la Parola che per l’arcivescovo diviene fortissima preoccupazione pastorale ed educativa, per quel desiderio di ‘insegnare a pregare’ che egli sente muoversi, soprattutto, nei giovani che incontra (e che poi originerà l’esperienza bellissima della Scuola della Parola), e che deve essere accolto, custodito, rilanciato. Così Carlo Casalone sosta sul metodo martiniano di predicazione e insegnamento, sulla severa libertà e sui doni che questo implica, trovando proprio nella «lettura della Bibbia secondo la dinamica degli Esercizi» il cuore pulsante del metodo martiniano. Il fine è il colloquio con Dio, la formazione del cristiano del tempo in cui vive, la riscoperta, secondo le indicazioni del Vaticano II, della ricchezza inesauribile della Parola da spezzare per l’umanità. Ma il vero fine ultimo è, in ultima analisi, la formazione della coscienza, necessaria conseguenza del colloquio con Dio, della preghiera, della contemplazione: «Tornando ora alla lectio divina, vediamo come la sua pratica sia un’esperienza fondamentale di formazione della coscienza, che promuove la capacità di decidersi per il bene da compiere qui e ora, interpretato come tale nella prospettiva del Vangelo». Da qui il continuo «appello alla coscienza», che va fatto sempre, anche quando, secondo Martini, sembra fallimentare (qui Casalone ricorda quanto i carcerati siano stati a cuore al cardinale e quanto essi gli siano stati legati, perché da lui riconosciuti e rialzati nella loro coscienza di uomini e donne).
Da tutto ciò nasce anche la responsabilità, che è anche responsabilità della preghiera nella forma dell’intercessione: l’autore ricorda allora le intuizioni di Martini sul tema dell’intercessione, che ha lo scopo di «far sì che la creatura abbia parte ai doni di Dio» (parole di Martini). Intercessione che implica l’esporsi, il prendere la parola e lo ‘stare in mezzo’, anche nel momento del conflitto, che può produrre (rischio inevitabile) fraintendimenti e critiche, silenzi e ostilità. Eppure l’intercessione, che è «un modo di essere», può generare frutti di Vangelo perché è, primariamente, la posizione di Gesù, che intercede presso il Padre per l’umanità.
Nella cura dell’interiorità, nella formazione della coscienza, nell’ascolto del profondo che ci abita e che è abitato dallo Spirito, nella custodia della libertà intima Casalone vede le mete e i frutti dell’azione martiniana, quella che egli per primo coltivò con costanza, in una sequela fedele e quindi davvero libera, per cui seppe manifestare «un inconfondibile intreccio di prontezza nel captare i segni dell’agire dello Spirito negli eventi, vigilanza nell’ascoltare la voce di Dio sia nella sacra Scrittura che nello svolgersi della storia, coraggio di porre interrogativi autentici, anche scomodi, e libertà nel decidersi per iniziative che riconciliano relazioni, costruiscono legami e favoriscono la convivenza ecclesiale e sociale»: sono i tratti inconfondibili di Martini, che lo hanno fatto amare e apprezzare da moltissimi credenti e anche da tanti non credenti.
In appendice al libro, ci sono alcune foto dei diari giovanili di Martini: si tratta di materiali preziosi, inediti (peraltro nel testo sono anche inseriti link al sito della Fondazione per accedere ad altri materiali). Tra tante note, una mi pare racchiuda tanto di padre Carlo Maria, anche per la precocità, rappresentando un’intuizione felice del nostro modo di essere cristiani nell’oggi: «servire Cristo e la Chiesa, ma non attraverso la ristrettezza di un proselitismo immediato, bensì immettendo nel mondo della cultura italiana ampie visioni di larghezza evangelica e senza sapore di setta». È una nota del 18 luglio 1956, frutto degli Esercizi che egli fede in quell’anno. Martini aveva 30 anni; il Vaticano II sarebbe stato aperto 7 anni dopo.