Non sono certo la persona più adatta a scrivere sulle baby gang napoletane purtroppo tema di drammatica attualità. Semplicemente perché non riesco a comprendere quella diffusa illegalità di cui si parla da anni, senza che mai venga superata (ragazzi che sfrecciano senza casco sotto gli occhi della polizia urbana? Abitanti di un quartiere che ostacolano il lavoro delle forze dell’ordine? Sui nostri quotidiani locali oggi la notizia di un concittadino che, colto sul fatto un ladro nel garage condominiale, ha scattato una foto e chiamato i carabinieri: ladro identificato e arrestato, fatto di ordinaria amministrazione).
Tuttavia, proprio in questi giorni, la cronaca ci mostra come il problema dei ragazzi non sia affatto limitato al Sud, visti i gravissimi episodi verificatisi a Zevio (VR) o a Torino, che significa Nord, eccome Nord. Questo vuol dire che il problema è italiano, globale. Quindi nostro, di tutti e tutti dobbiamo farcene carico, come diceva don Milani.
Perché sarà anche questione di scarso (scarsissimo) senso dello Stato, carenza di supporti, di adeguati finanziamenti, di scelte politiche (anche se gli ingenti fondi della Cassa del Mezzogiorno sono stati “fagocitati”, e alla grande, da mafia e ‘ndrangheta, ricordo ancora le parole dell’on. Flaminio Piccoli in visita nella sua città, non proprio ieri), ma non si può sempre delegare ad altri, occorre che ciascuno si assuma la propria responsabilità.
Quando arriva la neve non si può aspettare gli spalatori del Comune (che lavorano, ma hanno due mani ciascuno ..), si prende la pala e via; e in montagna, dove la quantità è ben maggiore, chi ha un mezzo lo mette a disposizione e sgombra, gratuitamente, una strada, un cortile (esistono scuole di periferia dove sono gli stessi insegnanti e studenti a dare una mano ..).
So bene che il discorso è molto più complesso e occorrerebbe un’attenta analisi sociologica (mentre la sottoscritta sta semplificando al limite della banalità), ma c’è una domanda che affiora da qualche giorno? Ma dove stanno le famiglie e le comunità?
Si parla spesso di un ruolo dei genitori da recuperare, ma qui talvolta non sembra trattarsi di recupero bensì di una totale rifondazione. Non occorre invocare, come ha detto qualcuno, un coprifuoco per i ragazzi minorenni, è necessario che le famiglie tornino ad essere tali, vale a dire la prima comunità educativa nel senso più autentico del termine.
E cosa c’è di più educativo della testimonianza di mamma e papà? Non è solo la fede ad essere tramandata, ma anche il senso dello Stato, il senso di appartenenza ad una comunità più grande, il senso del bene comune e della legalità, come insegna la dottrina sociale della Chiesa che invita non solo a costruire la città di Dio, ma anche quella degli Uomini.
«Quando siamo angosciati, diciamo che uno è spaesato» diceva a Darmstadt nel 1951 il filosofo Heidegger nel corso di un convegno di architetti dal tema “Costruire, abitare, pensare”. Ma forse è proprio lo “spaesamento” quello che sta paralizzando il nostro Paese. Non siamo più capaci di “abitare”: innanzitutto il nostro tempo (perché troppi s’immaginano ancora almeno un decennio fa), la nostra cultura (si vorrebbe allontanare il cambio epocale che pure è sotto i nostri occhi), e su tutto si vorrebbero evitare le proprie responsabilità.
È vero che la trasformazione sociale è profonda, in particolare nei nostri stili di vita, ma la nostra “casa” l’abbiamo dimenticata troppo in fretta e, di conseguenza, il concetto non è passato ai figli, i giovani di oggi. Tutto consiste in cerchi concentrici e il movimento è essenzialmente centrifugo, ma non del tutto. Si parte dalla famiglia, prima comunità dove s’impara a balbettare la socialità e la fratellanza: regole ben precise, ma anche tanta solidarietà. La famiglia non è chiusa in stessa, fa parte di una comunità più grande, civile ed ecclesiale e l’azione educativa si allarga, e si condivide. I genitori s’impegnano a esplicare il loro ruolo di cittadini e al contempo di membri di una Chiesa, ma accettano che altre persone possano venire in loro aiuto per quanto riguarda la crescita dei figli.
Spesso si parla di “comunità educante”, intendendo anche la scuola e tutti coloro che contribuiscono all’educazione, ma forse oggi occorre davvero compiere un passo ulteriore e giungere a quella “alleanza di tipo civile” che viene invocata da più parti, dove ciascuno si sente responsabile in prima persona.
I genitori potranno dire di aver rinunciato ad una gratificazione personale di vario tipo in nome dei figli, magari anche, se non è troppo gravoso per il bilancio familiare, ad un avanzamento di carriera: l’importante è esserci, e non solo fisicamente (“un padre insegnante che trascorre il pomeriggio chiuso nel suo studio non mi ha dato nulla”, diceva uno studente alle soglie dell’Esame di Stato). Ma non basta ancora se pensiamo a cosa significa per una comunità parrocchiale avere dei genitori che si mettono a disposizione nel fine-settimana per tenere aperto l’oratorio, la catechesi o l’animazione dei giovani (coppie di genitori, non solo mamme).
O il valore aggiunto della buona volontà delle persone per la vita di un quartiere o una città. E il concetto di casa si allarga poi fino a comprendere la nostra “casa comune”, dice Bergoglio, il creato, il mondo intero con tutti i suoi abitanti. Un mondo da abitare come casa nostra, ma se non abitiamo neanche quella come si fa?
Così di fronte all’attualità del bullismo e dei crimini “per scherzo”, ma anche della crisi che attanaglia i nostri giovani come del resto tanti adulti, cominciamo ad allontanare ogni alibi e rimbocchiamoci le maniche. Non è sempre responsabilità di altri (la politica, la Chiesa, il parroco di turno …), ma innanzitutto “nostra”. Non occorre alimentare il numero dei “rancorosi” che ritengono di non aver ricevuto nulla: ma noi che abbiamo dato? Che cosa diamo?
So di aver semplificato alla grande, ma anche un Sinodo sui giovani non potrà risolvere problemi se gli adulti, genitori innanzitutto, resteranno ad aspettare … che le soluzioni cadano dal cielo, come la neve. Costruire il futuro è un’altra cosa.