Cosa intende la Chiesa quando parla di alleanza educativa?

Il Consiglio Permanente della CEI annuncia un nuovo documento sull'Insegnamento della Religione Cattolica e tornano alla mente certe criticità del concetto ecclesiale di educazione
30 Gennaio 2025

Nel comunicato finale del recente Consiglio Permanente della CEI (20-22 gennaio 2025) si parla di un prossimo documento sull’Insegnamento della Religione Cattolica. Nelle righe di presentazione non compare mai la parola cultura, mentre si dà risalto alle categorie alleanza educativaprofilo educativo. Torna allora di attualità l’analisi che, ormai quattro anni fa, svolse Maria Teresa Pontara Pederiva (1956-2021) a proposito dell’ultimo documento della CEI dedicato alla scuola: Educare infinito presenteLa riproponiamo nella speranza che possa essere di ispirazione per coloro che “metteranno mano” al nuovo documento annunciato.

 

Premetto che non mi hanno mai entusiasmato quanti si ergono a maestri di insegnamento erogando, bontà loro, “consigli” a piene mani. C’è pure chi insegnava ad insegnare ancora da supplente, chi in anno di prova. E dire che ho sempre cercato maestri che potessero aiutare la mia azione quotidiana, la programmazione, la docimologia e quant’altro, ma persone competenti come i pedagoghi o, per fare un esempio ecclesiale, i salesiani che hanno come carisma dal fondatore, la passione per l’educazione delle giovani generazioni. Così, quando per assolvere alla richiesta provinciale delle ore di aggiornamento dovute (un anno le ho anche triplicate…), scorrevo l’elenco delle offerte, mi ritrovavo sempre a verificare con estrema attenzione i curricula dei relatori, tanto per scegliere bene e andare sul sicuro.

Pertanto mi sarei aspettata che un documento, uscito a firma dell’Ufficio Scuola della CEI, potesse davvero costituire una lampada nel cammino, spesso faticoso, sicuramente in salita, di tanti insegnanti. Del resto, anni fa, precisamente nel 1983, un documento dal titolo “La scuola cattolica” aveva segnato una pietra miliare per molti. Un documento, lo ricordo ancora bene, che era stato condiviso, corretto e riscritto con la collaborazione di alcuni docenti laici cui mons. Antonio Ambrosanio, allora presidente della Commissione episcopale per l’educazione cattolica, la dottrina della fede e la catechesi, sottoponeva capitoli e paragrafi ricevendone spesso delle conferme, ma anche decise stroncature (tutte tenute in considerazione estrema). Ne era uscito un testo che molti di noi consideravano “proprio”, perché frutto di un lavoro a diverse mani, pur senza mai aver condiviso un incontro fra tutti (e tantomeno una seduta da remoto in collegamento via Zoom, Skype o altre diavolerie che oggi dobbiamo ringraziare).

Da pensionata non posso dire se questo costume di condivisione sia stato mantenuto per codesto testo, ma, ad una lettura critica, viene da chiedersi, eventualmente, chi siano stati i docenti coinvolti, le loro attese, lo stile di insegnamento, e, perché no?, anche il loro vissuto ecclesiale.

Tanto di cappello al titolo, degno del miglior giornalismo: “Educare infinito presente”. Ma, ahimé, le note positive per me finiscono lì, se escludiamo l’uso (finalmente!) delle immagini a illustrazione del testo com’è usuale per ogni documento delle altre conferenze episcopali occidentali. Il testo appare infatti come un mosaico di pezzi giustapposti, senza una supervisione che possa amalgamarli in maniera efficace. I capitoli e talvolta singole frasi tentano spesso di riproporre “quel” testo sulla Scuola cattolica (quasi 40 anni fa!) dimenticando un fattore fondamentale: qui si dovrebbe parlare di educazione e scuola, non solo di scuola cattolica! Invece in questi giorni riaprono “tutte” le scuole e del tema scuola in questi mesi di difficoltà sembrano essersene riappropriati in tanti, per fortuna. Un motivo in più per andare a leggere cosa dicevano a settembre, alla vigilia della ripresa delle lezioni, i nostri vescovi sulla scuola e sulla presenza (e incidenza!)  della comunità cristiana tra i banchi.

Nella presentazione si fa cenno alla pandemia in corso e al bisogno di «uno sguardo nuovo, di un atteggiamento più duttile, capace di aderire ad una realtà in continua evoluzione», ma il testo, al contrario, ha un che di stantìo non giustificabile dopo un intero decennio dedicato all’educazione. Ma dove sono i protagonisti del patto educativo? Dove sono gli esperti che pure esistono (eccome se esistono, basta andare al Pontificio Ateneo Salesiano) in campo ecclesiale? Dove sono le associazioni di insegnanti cattolici come AIMC e UCIIM? E gli studenti, soggetti attivi della scuola (superiore)? E dove sono termini come “dialogo” e “confronto”, atteggiamenti che, nella scuola laica e  pluralista, dovrebbero guidare il quotidiano feriale dei cristiani?

E dire che mons. Crociata si augura nella presentazione che il sussidio possa «contribuire ad un nuovo punto di partenza, ad un nuovo inizio, nell’impegno per l’educazione e per la scuola animato dalla fede».

Al termine del decennio «Educare alla vita buona del Vangelo» la cura per l’educazione si conferma una delle vie essenziali della missione della Chiesa. La chiesa ha a cuore la scuola perché la riconosce come ambiente importante per la formazione della persona e per la qualità umana della società. La scuola è un luogo di fondamentale importanza per lo sviluppo della persona e della società, che va continuamente valorizzato, rinnovato e sostenuto.

Il testo non si nasconde tutti i risvolti negativi presenti ancora oggi nel contesto italiano: dalla svalutazione del ruolo degli insegnanti alla delegittimazione delle istituzioni educative fino all’incapacità di dare un senso all’atto di insegnare e imparare e alla mancata libertà di scelta da parte delle famiglie. Ampia l’attenzione rivolta all’insegnamento della religione cattolica (IRC) e al soggetto della pastorale per la scuola che è l’intera comunità cristiana, senza deleghe, né frammentazioni. Che la comunità parrocchiale sia «soggetto della pastorale per la scuola» appare però quanto meno irrealizzato o almeno irrealizzabile nella nostra realtà (diverso per fare un esempio negli Stati Uniti dove accade che quasi ogni parrocchia abbia annessa la “sua” scuola e non ci sia alcuna differenza tra i ragazzi della catechesi parrocchiale con gli alunni della scuola).

Belle le espressioni rivolte agli insegnanti, ma si tratta pur sempre della richiesta di una testimonianza da parte dei docenti di IRC, mentre non sembrano considerati quelli di discipline “altre” (eppure sono proprio loro a formare il tessuto connettivo docente dove i cristiani possono fare la differenza).

«La scuola è un sistema formativo articolato e complesso che coinvolge un numero molto elevato di persone e che si trova costantemente a fare i conti con cambiamenti socio-culturali sempre più accelerati. Quando si parla di scuola, occorre perciò evitare semplicismi e cercare di considerare l’insieme dei processi e dei fenomeni che la caratterizzano cogliendo i punti di criticità e i punti di forza». Uno schema (magari un istogramma!), un elenco puntato avrebbe potuto facilitare la lettura, lo svilupparsi del ragionamento, ma si preferisce l’utilizzo di espressioni vaghe e scontate.

Concordo con le obiezioni di molti secondo i quali oggi le urgenze cui far fronte siano ben altre, ma papa Francesco ci ha ricordato a Natale che in questo momento storico, «segnato dalla crisi ecologica e da gravi squilibri economici e sociali, aggravati dalla pandemia del coronavirus, abbiamo più che mai bisogno di fraternità». Non una «fraternità fatta di belle parole, di ideali astratti, di vaghi sentimenti…No. Una fraternità basata sull’amore reale, capace di incontrare l’altro diverso da me, di con-patire le sue sofferenze, di avvicinarsi e prendersene cura anche se non è della mia famiglia, della mia etnia, della mia religione; è diverso da me ma è figlio di Dio, è mio fratello, è mia sorella».

Ecco allora in appendice i vescovi ci richiamano le “Parole per la scuola”, da “Una missione d’amore” a “Umanizzare l’educazione” fino a “La scuola, una comunità”. E che non restino belle parole.

(Maria Teresa Pontara Pederiva, 7 gennaio 2021)

 

 

 

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