È stata un’estate orribile per chi ha orecchi per sentire, occhi per vedere, cuore per commuoversi. Orribili le immagini dei cadaveri che galleggiano sulle acque del Mediterraneo o delle mamme che cercano di far passare i figli sotto il filo spinato che impedisce l’ingresso in Ungheria. Orribili le notizie dei morti nelle stive dei barconi o nei camion che si arrampicano su per l’Europa, le storie delle famiglie distrutte dai naufragi, delle donne violentate durante il viaggio, del ragazzino che è stato talmente torturato che poi il cuore gli ha ceduto, proprio quando era quasi in salvo. Orribili le parole di volta in volta sproloquiate da quel politico, Matteo Salvini, che non perde occasione per dire che queste persone vanno rimandate indietro, oppure isolate sulle piattaforme dell’Eni, oppure accolte solo se cristiane… mostrandosi razzista quasi quanto gli scafisti che rinchiudono nelle stive, a morire soffocati, quelli che fuggono dalla Somalia o dall’Eritrea, e lasciano all’aria chi arriva dalla Siria (e può pagare di più).
Eppure, ovunque vada, Salvini trova persone entusiaste, che si fanno i selfie con lui, che lo riempiono di complimenti, che gli affidano la propria sicurezza. E, probabilmente, quando sarà il momento, lo voteranno.
Poi, si sa, siamo in Italia, e le cose in qualche modo si risolvono, magari per motivi non precisamente edificanti, ma insomma si fa buon viso a cattivo gioco. Per esempio, pochi giorni fa il suddetto Salvini si è trovato a polemizzare a distanza con un albergatore di Rovereto (TN) che, dopo aver chiuso il ristorante, causa crisi, rischiava di dover chiudere anche l’albergo. E, per farlo sopravvivere, lui che si dice leghista, l’ha aperto ai profughi.
Pecunia non olet, come ben sanno quelle amministrazioni locali che hanno deciso di accogliere gruppi di migranti, perché l’accoglienza fa girare l’economia dei territori: crea posti di lavoro – anche per i giovani – fa lavorare i commercianti che forniscono cibo, vestiti e quant’altro è di volta in volta necessario.
Altre volte le cose si risolvono semplicemente perché la gente è generosa. A Roma c’è un centro culturale, il Baobab, che accoglie transitanti. Ospita dalle 200 alle 600 persone al giorno. Si fermano due, tre giorni e poi ripartono per altri Paesi europei. Il Baobab non riceve fondi dall’amministrazione locale. Se ogni giorno riesce a nutrire, vestire e fornire kit per il viaggio a tutte queste persone è perché può contare su una vasta rete di volontari, di cittadini che donano quello di cui c’è bisogno (c’è una pagina Facebook, “Amici del Baobab”, che ogni giorno fa l’elenco del necessario, anche perché non si accettano soldi), di religiosi e religiose che donano tempo e sostegno concreto, qualche volta di commercianti o aziende che offrono forniture. È diventato la prova provata che la solidarietà disinteressata esiste ancora, anche a Roma.
La proposta del vescovo di Torino, Cesare Nosiglia, costringe però a fare un ulteriore passo avanti. Il 29 agosto ha chiesto «ad ogni Unità Pastorale della nostra Diocesi di provare a definire un concreto programma di accoglienza straordinaria e di accompagnamento per alcuni fratelli e sorelle vittime della migrazione forzata». Più specificamente ha chiesto «ai moderatori e referenti territoriali della Caritas, San Vincenzo e altre realtà che operano nel sociale di promuovere in ogni Unità Pastorale uno o più luoghi di accoglienza temporanea capaci di ospitare 5 persone ciascuno, cercando la disponibilità presso le parrocchie, gli istituti religiosi, le case di risposo, altre strutture ecclesiali presenti sul territorio». E ha aggiunto un auspicio: «Le comunità siano coinvolte in questa iniziativa sentendosene responsabili e offrendo il loro sostegno».
Rapido Salvini ha twittato: «Arcivescovo di Torino: ‘ospitalità completa’ per almeno 5 immigrati a parrocchia. Riusciranno a mantenere anche 5 italiani in difficoltà?». Nella sua rustica volontà di non vedere e non capire, Salvini non sa che la Chiesa già aiuta 5 italiani in difficoltà per ogni migrante, anzi ne aiuta molti di più.
Ma Nosiglia ha chiesto davvero un salto di qualità: che si mobiliti la comunità tutta, in modo realistico e concreto, coinvolgendo tutte le proprie componenti, perché ognuna ci metta qualcosa: chi la struttura, chi il proprio aiuto volontario, chi le competenze… Senza cercare, ogni volta, qualcuno a cui delegare: un’amministrazione troppo preoccupata di perdere il consenso, un albergatore in crisi, i “buoni” che si sacrificano e tolgono le castagne dal fuoco agli altri cittadini.
Papa Francesco ha detto che respingere i profughi è un atto di guerra. Per rompere la spirale di morte che la guerra innesca non c’è che da cercare la pace. Cioé il dialogo, l’accoglienza e anche le relazioni.
La proposta di Nosiglia implica infatti anche un altro salto di qualità. Un’accoglienza diffusa impedisce infatti di creare ghetti: non basta lasciar venire queste persone e poi metterle in qualche posto in cui non possano far danni e magari siano anche un po’ nascoste. Accoglierli vuol dire accettare di entrare in relazione, renderli parte della comunità.
I poveri, li avremo sempre con noi. O no?