La missione di un teologo-canonista: in ricordo di Arroba Conde

È morto la mattina del 30 maggio un canonista dall'eredità intellettuale imponente, attento alla logica giuridica e sensibile al fondamento ecclesiologico della missione della Chiesa.
2 Giugno 2023

I clarettiani –si legge su loro sito– sognano missionari che condividano vita e risorse in comunità configurate dalla missione e dai ministeri che Dio affida loro. Mi sembra un’ottima sintesi della tensione che ha attraversato non solo l’esperienza religiosa ma anche il pensiero di p. Manuel Jesus Arroba Conde. Stimato fin dai primi anni di docenza al Laterano dove seguì il confratello Domingo J. Andrés Gutiérrez, Arroba Conde è conosciuto da tutti i canonisti. Gli ultimi suoi incarichi lo vedevano Decano della Sezione di Madrid del Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per le Scienze del Matrimonio e della Famiglia, Giudice del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, Giudice del Tribunale della Rota della Nunziatura Apostolica in Spagna, consultore della Segreteria del Sinodo e del Dicastero per la dottrina della fede e di quello per i Testi legislativi. Eppure, Arroba era sempre più conosciuto per la sua spiccata sensibilità umana e pastorale nell’affrontare le questioni di diritto tutte riallacciandole non alla fredda logica giuridica ma alla razionalità con cui tradurre la missione della Chiesa nella costante ricerca di “vivere nella verità e nella carità”.

Negli ultimi trent’anni non c’è canonista che non abbia sentito il suo nome o che non abbia letto almeno un suo studio. Non racconterò episodi personali, sebbene abbia avuto l’opportunità di conoscere p. Manuel nel 1996 al Laterano per poi accoglierlo come visiting professor una decina di anni dopo alla Facoltà di Teologia di Lugano, negli anni in cui ho potuto seguirlo più da vicino anche come membro del gruppo degli assistenti di diritto canonico. Mi basterà ricordarlo per alcuni elementi caratteristici. Il pensiero articolato di Arroba Conde non può essere certamente racchiuso in pochi elementi: molto andrà studiato di ciò che ha scritto e proposto per la canonistica. Eppure, alcune tematiche credo possano essere utili piste su cui oggi continuare a riflettere e a confrontarsi e che debbono molto al suo lavoro.

 

Il Diritto canonico come opportunità di responsabilità locale

Per Arroba il modello ecclesiale del Concilio Vaticano II va posto al centro anche delle dinamiche tra la funzione del Romano Pontefice, legislatore universale ma anche difensore contro rigidità e uniformismi giuridici, e Vescovi locali. Il rimando ai legislatori particolari nei dettami conciliari, infatti, dimostra che la codificazione dev’essere interpretata non come idea statica ma come base della possibilità normativa; la norma, così come giace, può e deve essere aperta al continuo rinnovamento attraverso l’attenzione alle esigenze della vita delle Chiese locali. Il diritto non è un dato tecnico-giuridico statico ma la possibilità di essere guida per il fenomeno particolare in cui le comunità sono direttamente coinvolte: è su queste basi che si deve riflettere per un rinnovamento anche della teologia del diritto canonico. La diversità delle Chiese particolari se da una parte mostra i limiti tipici della moltiplicazione delle fonti di diritto, dall’altra assicura l’espressione concreta dell’autocomprensione ecclesiale, lì dove le comunità “sono”.

 

Il diritto processuale come luogo di comune discernimento

Arroba Conde ha avuto sempre stima dei giudici e della loro capacità di discernimento; quest’ultimo, però, è un atto comune di tutte le parti coinvolte: avvocati, patroni, altri giudici, difensori del vincolo o promotori di giustizia. Tutti gli attori coinvolti nel percorso processuale devono “cercare la verità” ed essere moralmente persuasi di aver conseguito la “certezza morale”. Per Arroba la procedura giudiziale ordinaria, pur non essendo la soluzione ideale dei conflitti ecclesiali, rimane la pratica di discernimento più adeguata ad appurare i fatti contornati da questioni delicate e personali. Per questo, soprattutto in sede di cause matrimoniali, anche la partecipazione emotiva e veritiera dei coniugi rimane utile per conoscere e discernere i fatti da porre a giudizio. Per Arroba la verità va ricercata nelle dinamiche interpersonali e intersoggettive. Il processo, e le norme che ne garantiscono la solennità, è un percorso non ambiguo rispetto alla possibilità di far emergere, nella posizione dialettica dei convenuti, elementi essenziali alla carità e alla verità. Ed è la stessa procedura che garantisce quella flessibilità utile e necessaria al giudice per arrivare ad un quadro sostanzialmente chiaro anche in presenza di giuste, gravi o gravissime cause. Il discernimento dei giudici, in questo modo, non è solo relegato al “giudizio” ma al percorso da compiere per il pronunciamento finale che deve essere riconosciuto (questo l’auspicio) come un atto di verità sulla coppia e sui singoli, prima ancora che sul matrimonio in sé o su altri aspetti della vita ecclesiale. Il processo è un percorso di collaborazione simmetrica e paritaria di tutti gli interessati per giungere alla decisione finale. Arroba poneva dunque la “verità reale” e “i valori ecclesiali” al di sopra della sola “verità processuale” troppo presente nelle aule dei tribunali civili. Il processo rimane un mezzo per risanare e superare gli ostacoli relativo al patrimonio comune di valori che costituiscono l’essenza della vita e della missione della Chiesa. Qui l’Arroba canonista fa emergere tutta la qualità dell’Arroba teologo (ed ecclesiologo).

 

Il diritto matrimoniale e familiare come luogo di missione della chiesa contemporanea

Si sa che Arroba Conde è uno dei sostenitori più convinti della riforma del processo matrimoniale che ha visto poi la luce sotto il magistero di papa Francesco. Ricordo che non amava la soluzione “amministrativa” ma difendeva quella “processuale” sebbene sostenesse la possibilità di eliminare la doppia sentenza conforme (duplex conformis) per rendere esecutive le sentenze (come poi è avvenuto) evidenziando però che le finalità pastorali, proprio perché tali, non si sarebbero mai dovute realizzare a discapito delle tecniche e delle norme processuali che, invece, si pongono come garanzia di libertà e di tutela. D’altra parte, per Arroba era chiaro che la riforma processuale canonica e il diritto matrimoniale canonico dovevano essere concepite sempre più come strumenti dell’articolata azione pastorale familiare della Chiesa a favore soprattutto dei fedeli in difficoltà, di quelli separati o divorziati, fino alla creazione di strutture stabili capaci di accogliere e affiancare famiglie e coppie in difficoltà per avviare un rapporto di informazione, accoglienza e discernimento. Ciò che oggi, anche grazie al suo impulso, si trova realizzato come centri d’accoglienza e di ascolto in numerose diocesi.

 

La “missione” come cifra imprescindibile del diritto canonico

Se per alcuni, la Chiesa ha bisogno del diritto in quanto rappresentazione della “norma fidei” e della “norma communionis”, per Arroba è necessario scongiurare ogni mistificazione del diritto stesso; egli è consapevole che non tutte le norme positive della Chiesa hanno carattere “salvifico-sacramentale”. Al contrario; Arroba sostiene che la saggezza della Chiesa ha custodito il diritto come una forma non ideologica e assolutista delle proprie pratiche. Da qui la necessità di intendere la comunione non come “l’essere in uno” ma come “partecipazione” secondo le precipue mediazioni storiche e le responsabilità di ciascuno. In una parola, il diritto vive di “missione”. In questa prospettiva, da anni Arroba andava sostenendo la necessità di presentare il diritto come legato all’agire stesso della Chiesa ovvero della “missione”: il diritto è “norma missionis”, ovvero punto di riferimento nello sforzo di sottoporre a controllo non la Chiesa stessa, nata e viva nell’annuncio pasquale, ma le istituzioni e le norme che essa produce per garantire che non siano di ostacolo alla sua stessa vita.

 

Molto ha fatto Arroba, e molto c’è da fare. Sicuramente il suo stile argomentativo e il suo profondo carattere cattolico sono un esempio luminoso da seguire. Lui, ora, riposi nella luce della resurrezione che non ha bisogno di diritto ma che, per i giusti nella carità, è pura “teologia” della presenza e della visione beata.

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

I commenti devono essere compresi tra i 60 e i 1000 caratteri. I commenti sono sottoposti a moderazione da parte della redazione che si riserva la facoltà di non pubblicare o rimuovere commenti che utilizzano un linguaggio offensivo, denigratorio o che sono assimilabili a SPAM.

Ho letto la privacy policy e accetto il trattamento dei miei dati personali (GDPR n. 679/2016)