In parrocchia senza parroco

Che cosa succede quando d'improvviso comunicano che il don deve lasciare momentaneamente la comunità
11 Giugno 2013

“Niente senza il vescovo …  e niente senza il parroco!”, ammonisce la sapienza pastorale. Ma se il parroco non c’è ? E non perché è via in pellegrinaggio o in ferie, o attende un sostituto, ma perché  gli è stato chiesto dai superiori di lasciare la comunità fino a data da destinarsi. Che fare? Da che parte cominciare?
Il  “turbamento” ricorda quello dei discepoli nel cenacolo. Questa volta però il capo non appare con un “pace a voi…”, anzi, è come fosse sparito dalla sera alla mattina. La comunicazione è arrivata come un fulmine a ciel sereno, nel cuore dell’anno pastorale, con il triduo pasquale alle porte. “Ma non si poteva aspettare l’estate…”. Evidentemente no, è proprio emergenza: “siamo in ballo, dobbiam ballare…”.
Forse mai come in quest’occasione si riscopre il Consiglio pastorale (un bel riscatto, a fronte di tante riunioni avvertite in passato come improduttive), che per i laici diventa l’ambiente per “elaborare il lutto” e guardarsi negli occhi. Prima per confortarsi a vicenda -“ce la faremo dai, l’importante è che il don possa tornare…”-, subito dopo per prendere in mano la situazione. Si fa e si chiede consiglio attorno a due operazioni che spesso nell’attività ordinaria riescono molto più difficili: suddividersi i compiti e discernere insieme che cosa è essenziale alla vita della comunità e che cosa invece è accessorio, marginale, rinviabile a tempi migliori.
L’Eucaristia, al primo posto, “senza di essa non possiamo vivere”. Nei giorni feriali e alla domenica. I responsabili diocesani, in verità, avevano garantito la piena “copertura” delle Messe – siamo in città, non è impossibile precettare dei celebranti a turno – ma c’era comunque da pensare al loro coordinamento, all’intesa con gli altri collaboratori (dai chierichetti ai cori ai lettori), alla raccolta delle offerte, agli avvisi da dare, e come darli.
Senza rete di salvataggio, i consiglieri pastorali hanno dato il meglio. Come se toccasse loro “salvare il salvabile”.  Senza troppa enfasi, hanno cercato di fare la propria parte, anzi ora di più. “Dopo la botta improvvisa, è stato tutto un rimboccarsi le maniche per supplire, per dare una mano…” riflette a posteriori il vicepresidente del Consiglio pastorale, che si è trovato ad assumere,  d’intesa stretta con “quelli degli affari economici”, le prime decisioni urgenti. Non c’è solo l’aspetto liturgico (per questo dal 1988 ci sarebbero anche le disposizioni canoniche per le cosiddette CAP, celebrazioni in assenza di parroco), ma tante altre risposte concrete da dare: a partire dalle situazioni amministrative o dai rapporti lavorativi gestiti dalla parrocchia fino alla redazione del foglietto settimanale da fotocopiare e distribuire in fondo alla chiesa. Lavoro straordinario anche per i gruppi parrocchiali: Caritas, ammalati e ministri dell’Eucaristia si sono attivati su più fronti, hanno parlato con il sacerdote “prestato” dalla diocesi per gli infermi più gravi. Così per i funerali, davvero pochi in questo periodo, grazie a Dio. I catechisti hanno convocato i genitori coinvolgendoli nelle scelte, per la gestione della catechesi prebattesimale la coppia di sposi “delegata” ha deciso – vista la situazione – di rinnovare la disponibilità, anche se da pochi mesi in casa è arrivata una bimba.
Insomma, il “parroco che non c’è” ha mostrato la comunità che c’è. E – da manuale –  i gruppi meno parrocodipendenti hanno subito meno contraccolpi, continuando a fare… “come se”. Altri hanno fatto più fatica, ma l’occasione ha portato anche a rettificare il tiro o sperimentare per forza qualche novità.
Tutto rose e fiori, allora? Benedetta emergenza? No, bisogna riconoscere che, come in ogni famiglia, la tensione e l’incertezza mettono allo scoperto anche fragilità o irrigidimenti. Nel caso dei rapporti fra i laici – dove è bene non ci sia gerarchia, ma solo corresponsabilità in compiti diversi – è inevitabile che forse anche per l’esplosione di disponibilità si crei qualche incomprensione: soluzioni giudicate insufficienti o sbagliate, riferimenti al “si è sempre fatto così” anche se la situazione ora è radicalmente diversa, sottili rivendicazioni di… primogenitura in nome del decennale servizio reso in parrocchia, qualche eccessivo zelo (che toglie spazio agli altri) dettato spesso soltanto dalla buona fede.
Un nodo da non sottovalutare  è quello della comunicazione periodica al resto della comunità, al quartiere: trovare le parole giuste (a fronte di una situazione delicata e in evoluzione) e concordate per rispondere alle attese sacrosante e alla curiosità a volte pregiudiziali di chi chiede “come sta don…? che gli è successo? tornerà?”
In attesa di sentire altre esperienze di parrocchie “orfane” pro tempore, un bilancio lapidario e provvisorio: quest’assenza del parroco (e del suo ministero specifico) ha  fatto capire la presenza della comunità. Che è bene sia formata e allenata, aldilà di ogni emergenza.

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