Uno squillo al telefonino di Corrado. Sono in vacanza in spagna e il mio cell e’ morto da due giorni cercando di nuotare in una cala splendida e maledetta. “No, sono Corrado.. suo figlio? Chi? Gilberto? Ha si, e’ qui, glielo passo”. Mia madre che mi chiama dall’italia al cell alternativo che le ho dato per raggiungermi in caso di emergenza… Ovviamente mi prende un colpo.
E le sue parole sono pesanti come pietre: “E’ morta Gabriella…” Silenzio. La mia mente non riesce a mettere insieme il senso… “Chi e’ morto?”. “Gabriella, Grabiella Ceriolini…” E’ come quando d’improvviso ti attraversa un camion mentre stai viaggiando tranquillamente e ti godi il panorama, e il sussulto richiama da tutte le parti del tuo corpo ogni fibra in vacanza… “No, ma cosa dici, mamma…”. “He si, l’hanno trovata morta questa mattina”.
Gabri, non puoi farci questo! Ci siamo visti appena due giorni prima di partire, ricordi, e mi avevi dato appuntamento al primo settembre, il mio tendine aveva bisogno delle tue mani, per quel dono strano e un po’ incredibile che avevi e che sempre hai tenuto riservato e custodito. Ma soprattutto non puoi andartene cosi’, all’improvviso, lasciando a mezzo una vita che gia’ da tempo aveva mostrato cosa vuoi dire fidarsi di Dio.
Da quando salendo le scale dell’ospedale, tu e il tuo amato Francesco, all’improvviso ti fermasti e gli dicesti: “Ma davvero abbiamo bisogno di sapere perche’ non riusciamo ad avere bambini? Noi possiamo essere genitori in mille altri modi”. E giraste i tacchi e apriste la vostra casa a piu’ di una quindicina di figli “affidati”, in quasi 20 anni.
Quando a in un paesino in montagna, incontrasti una bimba di 6 anni, con una madre reduce dalla psichiatria e un padre molto amante del vino, e fu incredibilmente normale per te immaginare di portarla con te a casa. E fu la prima. Di una lunga serie. O quando, pochi hanni dopo, arrivo’ un bambino di 11 anni, che comunicava a calci e pugni soltanto. E fu davvero dura ridurre lentamente la sua rabbia e gli oggetti che poteva colpire. Prima gli vietasti le persone, poi gli animali, poi le piante e quando gli rimasero solo i muri decise che c’erano altri modi per comunicare. Ma ti ci vollero quasi due anni. E ogni tanto mi telefonavi: “Gilberto, portamelo via qualche giorno perche’ ho bisogno di tirare il fiato”, mostrando di mantenere tutta la tua umanita’ pur senza abdicare all’impegno di essere madre supplettiva di chi non aveva madre.
O quando, con l’intuizione pedagogica incredibile che avevi, di chi ama sul serio, lasciasti per 4 ore che una ragazzina di 13 anni si ribellasse alla tua presenza solida e calda, standosene seduta sul tetto di casa, come se niente fosse. O quando permettevi ad un ragazzino di 15 anni di fumare un sigaro per rilassarsi dalle sue tante difficolta’ di relazione. O quando, senza alcun tabu’, cercavi di sostenere un amore strano e fuori schema tra una ragazza di 16 anni e uno di 25 e passa. Si vedeva lontano un miglio che sarebbe stato un amore impossibile, ma tu avevi la speranza dei folli e la concretezza dei romagnoli che non si danno mai per vinti.
Cosi’ come, quando dopo essere uscito di seminario ti chiesi di farmi da direttore spirituale. Che strano: una laica, sposata, che fa da guida ad un mancato prete che non sa che fare. E furono anni di grandi scoperte per me e di frasi rimaste dentro a segnare gradini di consapevolezza: “Hai l’orgoglio rovesciato di chi non vuole accettare la realta’”. Come era vero! “Non hai mai capito nulla delle donne e nemmeno ora le stai capendo”. Esatto. Oppure: “Ma credi davvero che Dio ti chieda di essere qualcosa che tu non senti bello e attraente? La sua volonta’ si scrive dentro la tua, se non hai chiara questa non puoi vedere quella”. E pensare che in 5 anni di seminario nessuno mi aveva mai letto cosi’!
E quando entravi nelle mie classi per raccontare la tua scelta e il tuo stile di essere Chiesa e i miei studenti restavano a bocca aperta, o talmente colpiti da andare in crisi o da ribellarsi alla evidenza di qualcuno che sa amare davvero. E mi sono sempre chiesto come facevi a sapere cosi’ tanto di pedagogia applicata senza mai averne letto un libro. E quando piu’ avanti mi capitava di leggere teorie e tecniche, spesso mi venivano in mente le situazioni viste e vissute in casa tua, come esempi delle teorie che studiavo.
E quando mori’ all’improvviso, come te, il tuo amato Francesco ebbi il privilegio di essere uno dei due ammessi a starti vicino in quei giorni, e imparai cosa vuol dire fare i conti con un lutto che ti squassa dentro e ti impone di ricostruire tutto da capo. E vidi dal vivo tutta la tua forza d’animo e la tua fede che ti faceva ritrovare energie e progetti dove io vedevo solo buio. Fino a decidere di dedicare la tua vita che restava alle madri in difficolta’, coniugando la fede e l’attenzione alle donne senza mai scadere nel femminismo cattolico che reclama ruoli e potere.
E ora che ti scrivo, mentre in cattedrale a 2000 km da qui si sta pregando con te per te, mi e’ chiaro perche’ l’ultima volta che ti ho salutato mi hai chiamato indietro 4 volte sulla porta di casa, chiedendomi di mia madre, di alcuni amici comuni, della scuola.. Mi stavi salutando, come al solito fuori dagli schemi e con la tua incredibile liberta’ di essere te stessa con chiunque e dovunque. E’ strano. Ho sempre pensato che sentivi, in qualche modo, quando sarebbe arrivata la tua ora, e il tuo stile aveva il sapore di chi sa contare i giorni e quindi ha la sapienza del cuore. Mi manchi, e mi mancherai… Ma voglio pensare che abbia ragione Sant’Agostino “Chi non e’ piu’ con noi e’ sempre dove siamo noi”.