Figli di Abramo ad Ur – scorcio sul viaggio di Francesco in Iraq

Il valore della sosta in preghiera del Papa a Ur dei Caldei, sulle tracce di Abramo, insieme ai fedeli di altri fedi nate dalla partenza dell'antico patriarca.
8 Marzo 2021

Dal deserto la Parola di Dio

Dal deserto si sollevano due voci che in arabo ricordano a Dio la Sua Parola. Parola non sempre semplice: da leggere e rileggere nella nostra vita e nel nostro cammino affianco agli altri perché non resti vuota.

«Farò di te un grande popolo e ti benedirò, renderò grande il tuo nome e diventerai una benedizione. Benedirò coloro che ti benediranno e coloro che ti malediranno maledirò e in te si diranno benedette tutte le famiglie della terra» (Gen 12,2-3), recita la Genesi.

«Signore mio, Tu conosci quel che celiamo e quel che palesiamo, nulla è nascosto a Dio sulla terra e nulla in cielo. Sia lode a Dio che mi ha donato Ismaele e Isacco malgrado la mia vecchiaia, certo il mio Signore è Colui che ode la supplica. Signore mio, fa’ che io adempia alla preghiera, e anche la mia discendenza. Signore mio, accogli la mia supplica. Signore mio, perdona me e i miei figli e i credenti nel giorno della resa dei conti» (Corano 14: 38-41). Così nella Sura Ibrahim, Abramo si rivolge a Dio.

Una richiesta finale di perdono che oggi ci riporta alle parole di Papa Francesco che al suo arrivo in Iraq si è dichiarato essere un «penitente che chiede perdono al cielo e ai fratelli».

Sì, il deserto è il luogo delle scelte, delle chiamate, degli addii – ieri («vattene dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo padre» (Gen 12,1) come oggi – e la testimonianza intensa, con una voce forte anche se a tratti spezzata dall’emozione, della signora mandea Rafah Husein Baher l’ha ricordato a tutti i partecipanti di questo incontro storico. Il deserto è anche il luogo del pentimento e della ripartenza. Quella che desidera il popolo iracheno ma anche ognuno di noi.

Così ha inizio l’incontro interreligioso a Ur, luogo da cui il libro della Genesi ci dice che Abramo partì fidandosi della voce di un dio, del Dio. Sullo sfondo i resti di quella che la tradizione considera la sua casa e, un po’ più lontano, la ziggurat, imponente costruzione dei sumeri che ha resistito ai millenni e alle violenze. Una terra un tempo florida e oggi quasi desertica a causa dei cambiamenti climatici.

Il dialogo in pratica

Dopo le letture dalla Bibbia e dal Corano, il microfono passa nelle mani di due giovani diciottenni, Dawood e Hasan. Due amici, uno cristiano e uno musulmano, uno interessato alla comunicazione l’altro all’arte. Una breve testimonianza a due voci che non ha voluto soffermarsi su quanto debba essere stato difficile per loro nascere a Bassorah nel 2002 e crescere in una terra martoriata ma che ha raccontato la loro piccola e allo stesso tempo enorme iniziativa. Hanno chiesto un prestito insieme e aperto un negozio di vestiti. «Ci piacerebbe che molti altri iracheni vivessero la nostra stessa esperienza», dice con semplicità Dawood.

Così tanto spesso contrapponiamo “teoria” e “pratica” nel dialogo interreligioso, come se le parole e le azioni dovessero essere separate. Credo che il popolo iracheno sappia molto bene che esse invece vanno mano nella mano. Un’iniziativa come quella di Dawood e Hasan non sarebbe partita se la loro “teologia” avesse considerato l’altro un miscredente da disprezzare.

«Guardiamo il cielo e camminiamo sulla terra»

Questo l’invito di Papa Francesco nel suo discorso che ha concluso il momento interreligioso a Ur. Impariamo da Abramo a cui Dio chiese di alzare lo sguardo al cielo e contare le stelle. Abramo si è fidato di una parola e dovendo aspettare non poco per toccare qualcosa con mano. Forse oggi Dio ci chiede altrettanto. Quelle stelle che sono le stesse che brillavano millenni orsono, ancora oggi chiamano l’attenzione: «Esse illuminano le notti più scure perché brillano insieme. Il cielo ci dona così un messaggio di unità: l’Altissimo sopra di noi ci invita a non separarci mai dal fratello che sta accanto a noi. L’Oltre di Dio ci rimanda all’altro del fratello. Ma se vogliamo custodire la fraternità, non possiamo perdere di vista il Cielo», esordisce Papa Francesco, che tiene sempre a ricordare dove si centra la fraternità, nonostante vari gli rimproverino di non sottolinearne sufficientemente l’aspetto trascendentale.

Come ad Abu Dhabi, nel documento firmato con il Grande Imam di Al-Azhar, anche ad Ur Francesco fa riferimento a situazioni concrete che non possono e non devono essere taciute: il terrorismo, la necessità di riconoscere e rispettare la libertà di coscienza e la libertà religiosa, la custodia dei luoghi sacri. Proprio lì dove i diritti di base di tante persone sono stati violati, si è alzata netta la sua voce.

«Gli occhi al cielo non distolsero, ma incoraggiarono Abramo a camminare sulla terra», ha continuato il Pontefice. «Il suo fu dunque un cammino in uscita, che comportò sacrifici: dovette lasciare terra, casa e parentela. Ma, rinunciando alla sua famiglia, divenne padre di una famiglia di popoli. Anche a noi succede qualcosa di simile: nel cammino, siamo chiamati a lasciare quei legami e attaccamenti che, chiudendoci nei nostri gruppi, ci impediscono di accogliere l’amore sconfinato di Dio e di vedere negli altri dei fratelli».

Un cammino di pace senza vincitori né vinti

La fratellanza non è un cammino semplice. Forse anche perché ci porta lontano dalle categorie a cui siamo abituati. Invita su un cammino di pace che, come ricorda Francesco, «non chiede vincitori né vinti, ma fratelli e sorelle che, nonostante le incomprensioni e le ferite del passato, camminino dal conflitto all’unità».

Se abbassiamo gli occhi e guardiamo all’interno delle nostre case, capiamo bene di cosa parla Francesco. Fino a quando nelle nostre relazioni ci concentriamo su chi ha torto e chi ha ragione, forse possiamo sentirci più sicuri di noi stessi e aumentare l’autostima ma aumentiamo anche le possibilità di divisione, di allontanamento fino ad arrivare all’inimicizia. Quante famiglie che si distruggono per questo… Nelle società e fra i popoli e le comunità è lo stesso e non può stupirci troppo. La questione non è chiaramente quella di non avere più la Verità con la “V” maiuscola al centro ma a decidere come farla regnare.

«Nessuno si salva da solo»: l’insegnamento della pandemia

Questo viaggio Papa Francesco lo ha compiuto in un tempo di pandemia globale, a quasi un anno da quel 27 marzo 2020 quando da solo camminava sotto la pioggia a piazza San Pietro e faceva risuonare con incisività nelle nostre case, dove in così tanti lo guardavamo attaccati agli schermi, quel “ritornello” che andava a toccare una piaga nel nostro cuore: “Perché avete paura? Non avete ancora fede?”

Già allora diceva: «Davanti alla sofferenza, dove si misura il vero sviluppo dei nostri popoli, scopriamo e sperimentiamo la preghiera sacerdotale di Gesù: “che tutti siano una cosa sola” (Gv 17,21)». Nell’enciclica Fratelli Tutti e ora ad Ur, ricorda che «nessuno si salva da solo». Guardando ai giovani, Papa Francesco si avvia alla conclusione del suo discorso identificando nella loro educazione alla fraternità «il vaccino più efficace per un domani di pace».

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Quando Francesco termina, viene recitata una preghiera. Una preghiera scritta per permettere a tutti i partecipanti di farla propria. Sul sito del Vaticano la troviamo con il nome “preghiera dei figli di Abramo”. «Ti chiediamo, Dio del nostro padre Abramo e Dio nostro, di concederci una fede forte, operosa nel bene, una fede che apra i nostri cuori a Te e a tutti i nostri fratelli e sorelle; e una speranza insopprimibile, capace di scorgere ovunque la fedeltà delle tue promesse».

Una preghiera interreligiosa (termine che spesso spaventa…)? Al di là dei termini, la speranza è che le voci si siano unite innalzandola a Dio.

 

(foto: Vatican Media)

Una risposta a “Figli di Abramo ad Ur – scorcio sul viaggio di Francesco in Iraq”

  1. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    Il santo Padre ha fatto un viaggio da Cristiano, è andato a offrire la Pace e l’amicizia di sentirsi Fratelli tutti Figli di un unico padre il quale ha guardato e ascoltato l’unico Dio. Una speranza per i cittadini del mondo, che tutte le diversità si superino nei contrasti in nome di questa Fratellanza. Certo non è facile raggiungere intese perché ogni popolo ha un credo, una storia, una vita eun carattere che lo distingue ma se comune fosse l’aspirazione di risolvere contese con intese optando per il dialogo civile anziché l’azione spiccia e crudele che è il ricorso alle armi, E’ anche un importante coraggioso passo politico quellocompiuto da Papà Francesco, la Chiesa che scende campo con le altre Chiese a nome di cittadini a chiedere la Pace, a promuoverla richiamando I Governanti a uno sguardo più profondo su ciò che resta di guerra e di odi reciproci o contese di ricchezze. Il costo di dolore umano è grande, interroga le coscienze tutti ci si sente coinvolti.

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