Inutile girarci intorno. L’8 maggio, verso le 19:00, ero inchiodato davanti al televisore, in attesa dell’habemus Papam. E come molti, nel sentire il nome, la nazionalità e l’appellativo scelto dal nuovo Pontefice, sono rimasto perplesso. Per certi versi — e non so bene nemmeno io perché — anche un po’ deluso.
Nel giro di pochi minuti sono partiti messaggi e telefonate ad amici e conoscenti, tra pareri, opinioni, battute. Poi, come da copione, è iniziata la ricerca su Internet: chi è Prevost? Chi sono gli Agostiniani? E il Perù? E via discorrendo, in un vortice di link, articoli e Wikipedia.
Ho poi fatto zapping tra i vari talk show gremiti di vaticanisti — o presunti tali — che, bontà loro, si sono lanciati in previsioni su temi e stile del prossimo pontificato, estrapolando e ingigantendo ogni dettaglio disponibile.
C’è chi si è concentrato sulla continuità con Papa Francesco, chi ha enfatizzato le differenze, chi ha prodotto video, meme, analisi, e persino libri (alcuni instant books sono apparsi su Amazon praticamente prima ancora che il nuovo Papa parlasse).
Ci si è subito interrogati su dove abiterà, chi confermerà in Curia, quale linea politica seguirà, e quali saranno i suoi rapporti con Trump (qualcuno arriva a dire che sia una sua creatura — ma sono gli stessi che sostenevano che Bergoglio fosse morto da settimane).
Sarà progressista o conservatore? Quale sarà la sua posizione su donne prete, comunità LGBTQ+, migranti, coppie divorziate? E lo IOR? Medjugorje? Stefania Orlando? (Non sto inventando: sto solo riportando alcuni spunti delle discussioni recenti, spesso surreali).
Anch’io, come molti di noi, mi sono prestato a questa indagine mediatica, teologica, ecclesiologica,. L’ho fatto divertendomi. E credo che in fondo tutto questo sia umano e quindi inevitabile…
Nei prossimi giorni, nelle prossime settimane, avremo alcune risposte, probabilmente nasceranno nuove domande. Conosceremo meglio il nuovo Papa, osserveremo i suoi gesti, ascolteremo le sue parole. Speriamo anche di ricordarci di pregare per lui.
Ma stasera sento il bisogno di una pausa.
“Il Papa è morto, viva il Papa”: questo antico motto ha placato il mio brusio interiore. Mi ha ricordato che il ministero del Vescovo di Roma va avanti da duemila anni, nonostante errori, contraddizioni, debolezze.
Leone XIV rappresenta, per chi crede, la continuità e, per così dire, l’incarnazione visibile dell’unità dell’annuncio cristiano.
Non voglio pensare all’uomo, ma al ruolo. Non alla novità, ma alla promessa.
In un’epoca di slogan, di immagini che durano un clic, di emozioni che si consumano in un’ora, il papato ci ricorda che esistono anche parole che durano, verità che resistono.
Dio agisce nella storia e anche, attraverso la Chiesa. 266 uomini si sono seduti sulla cattedra di Pietro e sono scomparsi ma il papato non conosce fine.
Il Papa passerà, come tutti noi. Ma il messaggio di cui è segno — fragile e potente insieme — continuerà ad attraversare il tempo.
In questa contemplazione calmo i pensieri e decido di guardami un film al posto di un talk show , di controllare il meteo al posto dell’ultimo gesto del pontefice. E dormo sereno.
Viva il Papa. E attendiamo fiduciosi.