Una luce che non si può nemmeno immaginare

«Mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante. […] E dalla nube uscì una voce, che diceva: “Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo!”»
21 Febbraio 2016

II domenica di Quaresima: Lc 9,28b-36

LA TRASFIGURAZIONE (Teofane il Greco, 1378, Novgorod, chiesa della Trasfigurazione)

 

Anche quest’opera, come le altre scelte per la Quaresima, è nel segno della luce. Diciamo meglio: della volontà di non lasciarsi sopraffare dalle tenebre e dall’ombra della morte, per entrare nella luce di Dio. Una luce talmente intensa sulle vesti di Gesù che, per descriverle, a Marco non bastano un aggettivo (splendenti) e un superlativo assoluto (bianchissime), ma ha bisogno di un superlativo di rinforzo: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. Come dire: qualcosa di inimmaginabile…

Gesù non chiede agli apostoli di immaginare: li porta a vedere. Infatti, pochi giorni dopo l’annuncio della sua morte e risurrezione, prende tre dei suoi (i più intimi? i più autorevoli? i più preoccupati? o quelli che saranno presenti alla sua Passione?) per dar loro la certezza della vita in Dio. E sul monte, dove terra e cielo paiono toccarsi, si mostra nella gloria del Padre.

Gesù ha in mano il rotolo della Parola (la legge e i profeti) e, accanto, Mosè ed Elia: il grande legislatore e il profeta che fece osservare la legge. Coloro che sul monte parlarono con Dio e che furono protagonisti di esodi incompiuti, ora conversano col Figlio del suo esodo che sta per compiersi. Cioè della sua passione, morte e resurrezione.

Non avendo ancora capito chi sia il più importante, Pietro vorrebbe fare per loro tre capanne, finché, da una nube, Dio chiede di dare ascolto al Figlio e resta «Gesù solo».

Sono dunque più momenti a essere narrati da Luca: gli artisti, di solito, inquadrano quello in cui Pietro parla e i personaggi sono tutti in scena. È interessante notare come, degli apostoli, venga reso il peso della condizione umana. Non solo le lame di luce – peraltro meno forte rispetto a quella del “sole” – sono insostenibili per i loro occhi e per la loro mente. Ma i corpi, incapaci di reggersi in piedi, sembrano addirittura travolti. È questo “precipitare” degli apostoli a caratterizzare l’arte orientale, a differenza di quella occidentale (es. Duccio, Beato Angelico, Giovanni Bellini, Perugino, Raffaello…) che mostra corpi più composti, appena risvegliati dal sonno.

Nell’opera di Teofane compaiono pure delle scene minori, non usuali nelle altre Trasfigurazioni, a sottolineare la necessità di un accompagnamento. Mentre quelle in alto, racchiuse in una nuvoletta celeste, raffigurano un angelo che scorta Elia e Mosè all’incontro col Cristo, le due centrali, incastonate in una grotta, mostrano Gesù coi tre apostoli prima e dopo la contemplazione nella gloria: la loro è stata una primizia, che, come ha avuto bisogno di un’ascesa guidata, va ricondotta alla vita reale.

 

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