Abbiamo ancora, forse, negli orecchi e nel cuore l’invito di Gesù, quando, nel vangelo di domenica scorsa, ci chiedeva di farci degli amici con la disonesta ricchezza e subito oggi ritroviamo qui qualcuno che proprio non è riuscito a farlo.
Il ricco “Epulone”, questo infatti il suo soprannome in molte traduzioni evangeliche, è di fatto un uomo senza nome che viene definito nella sua identità, in modo drammatico direi, solo da come si veste e da come mangia. Un uomo tutto guscio, potremmo pensare, senza contenuto: insomma un “uomo da banchetto” e basta, che veste sempre un dress code regale (porpora e lino finissimo) e mangia ogni giorno cibi prelibati da festa. Un uomo straripante tutto all’esterno, tutto immagine, tutto impossibilitato a vedere quello che gli sta intorno, considerando tutto come arredo da banchetto, perfino il povero Lazzaro, il quale invece un nome ce l’ha, ed è anche un nome importante, in quanto in ebraico significa “Dio aiuta”.
Questo povero, dunque, proprio perché privo di tutto, di ricchezza, di cibo e di salute, che non è neanche in grado di possedere il suo autonomo spostarsi per mendicare, è invece capace di essere colui in cui “Dio aiuta”. Eppure è realmente un prostrato dalla vita, con piaghe come indicatori della sua stasi, ed ha come compagnia solo quei cagnolini più interessati a leccarlo per lenire il suo dolore, che a mangiare quelle stesse briciole che potrebbero insieme condividere dalla tavola del padrone.
Ma di briciole, pur da un banchetto così lauto e quotidiano, non ne cadono, neanche accidentalmente. Perché, potremmo chiederci. Anche nella nostra vita ci sono forse “banchetti” chiusi, blindati, che non fanno trapelare nessuno spiraglio di condivisione? Banchetti di valore materiale, ma non solo magari: banchetti affettivi, banchetti di ricchezza intellettuale, banchetti di doni spirituali? Madre Teresa diceva, per metterci in guardia contro questo rischio: “Chi nel cammino della vita ha acceso anche soltanto una fiaccola nell’ora buia di qualcuno, non è vissuto invano.”
La scena della parabola dunque va avanti ed entrambi muoiono e saremmo tentati di entrare subito nel dramma di patire la durezza del Giudice Eterno, qui raffigurato dal padre Abramo, che separa i cattivi dai buoni e quindi condanna alle fiamme terribili quell’uomo così empio in vita. Eppure, a mio avviso, c’è un passaggio illuminante; dirà infatti Abramo: “tra noi e voi è stato fissato un grande abisso”! Ritorna quindi la stessa chiusura insormontabile che non faceva uscire neppure una briciola da quella mensa strabordante, chiusura ancora presente nell’insensibilità degli “spensierati di Sion”.
Questi ultimi infatti compaiono nella Prima Lettura, in cui il profeta Amos descrive l’indifferenza di una vita ostentata in svaghi lussuosi da uomini che hanno il comando, mentre sotto a quella montagna di Samaria avviene la rovina di Giuseppe, cioè di un Israele che ha il volto del povero oppresso. Indifferenti alla sofferenza del povero sotto, come lo è il ricco che non vede nemmeno il povero Lazzaro accasciato. Questo sguardo mancato in vita dunque, tale che non colma la distanza e non ricompone lo scarto, è proprio quello che non permetterà ora di sollevare dai tormenti il ricco e poi almeno di avvisare i suoi fratelli di cambiare stile di vita.
C’è allora una misura di generosa gratuità che il ricco non è nemmeno riuscito a contemplare nel suo pensiero, un mondo biunivoco, un modo di pensare la vita come reciprocità feconda, un pensiero duale che egli non ha saputo adottare sulla terra. Sguardo aperto e generoso che, credo, si riassuma nell’invito che San Paolo nella Seconda lettura rivolge all’uomo di Dio, chiedendogli di evitare queste cose, cioè la scarsa misura dell’amore e dell’attenzione all’altro, coltivando piuttosto “giustizia”, “pietà”, “fede”, “carità”, “pazienza” e “mitezza”.
Un elenco di virtù ottenute con la buona battaglia della fede, quella da combattere per raggiungere la vita eterna, che già raffigurata qui, in questo decentramento che non opera cesura, distacchi, “cultura dello scarto”, per dirla con Papa Francesco! Allora forse, con queste indicazioni, potremo davvero sempre più cogliere in ogni fratello, anche il più diverso, come ogni giorno “Dio aiuta” ciascuno di noi ad allargare uno stretto orizzonte.
Ma di briciole non ne cadono…chi è il povero privo di tutto oggi? Forse ognuno di noi avrebbe una propria risposta, perché appunto tutti sediamo a tavola per nutrirci e vediamo chi non ha tavola! C’è un popolo ramingo perché colpito da povertà non immaginabili! Ma anche c’è chi chi seduto in scranni di comando, che sembra imperturbabile a mandare avanti uomini a morire per un ideale molto terreno. Un ideale che i caduti non vedranno e forse si domandano perché aver sacrificato la vita è se non si poteva perseguire in altro modo l’ideale realizzandolo con una diversa partecipazione. Non è l’ideale di chi fugge perché un clima impietoso, o una guerra lo fa fuggire e non sempre raggiungere un lido dove vivere in pace. L’ideale uguaglianza, anche difficile da realizzare in paese straniero, non ben accetto. Non cadono briciole da quelle tavole, chi si ciba non lascia il posto, così chi Governa, dove sta Dio? negli umani ideali? Ma Lui è stato Vittima prima
Cara Chiara.
Parto da qs. parole:
Separazione divisionerancore
x chiederti (( sto leggendo Krishnamurti: Verità e Realtà)):
Le divisioni sono il portato della ns mancanza di libertà DA.. cioè dai condizionamenti? Il K. sostiene che l’individuo può diventare ‘ collettività ‘ solo se riesce liberarsene il che diventa ‘meditazione’ come mezzo x liberarsi dai PENSIERI.
È questa la strada giusta?