La sposa di Cana

Nel giorno della Madonna di Fatima è importante ricordare che "Maria aveva saputo parlare al cuore di suo figlio perché sicuramente lo aveva guardato e ascoltato molto, prima ancora di chiedergli di ascoltarla".
13 Maggio 2020

Dopo molti anni di matrimonio, un flashback immaginario nella mente della sposa a Cana:

“Spesso i suoi due figli maschi la chiamavano “Donna” e, non poteva negarlo, erano vent’anni che quella parola le risuonava dentro: nel giorno del suo matrimonio l’aveva udita per la prima volta da un altro figlio che aveva chiamato così sua madre, addirittura dicendole “ Donna, che vuoi da me? non è ancora giunta la mia ora”. Parole sibilline, che sul momento non aveva certo compreso. Dall’alto del suo baldacchino di sposa, era scesa senza dar nell’occhio e quasi confondendosi tra gli invitati, alla debita distanza che le era consentita come donna,  aveva visto il gruppetto di quei conoscenti galilei che parlavano con alcuni dei servitori del banchetto.  Era riuscita, scivolando leggera, ad avvicinarsi alla madre, a quel figlio adulto vicino a lei, e al piccolo gruppo di uomini che li accompagnava. E lì le aveva notato un particolare sorriso, che non avrebbe mai dimenticato, mentre parlava al figlio… Era riuscita anche a capire cosa gli aveva sussurrato piano: “non hanno vino”… Poi un trafficare in fondo alla sala, e giare, e servi, e travasi veloci.

Suo marito poi era stato chiamato velocemente da alcuni parenti e aveva parlato col maestro di tavola, l’incaricato assoldato per organizzare quel banchetto così costoso che le loro famiglie da anni preparavano, in un risparmio quotidiano teso solo allo sfarzo di quel giorno. Ma il vino era tragicamente finito ed ora, come per incanto, aveva ricominciato  a scorrere sulle tavole, e i commensali a rallegrarsi della sua egregia qualità, pur servito verso la fine delle portate:  le rughe sulla fronte di suo marito si erano spianate dolcemente e lei, cercata tra gli invitati, era stata ricondotta al suo posto d’onore.

A malincuore si era quindi allontanata dalla visione del viso di quella madre, da quel gioco di sguardi con suo figlio, da un evento accaduto che non sapeva spiegarsi e che aveva a che fare con quel gioco di battute che i due si erano scambiati a fior di labbra, da quel “Donna” che ora ritrovava anche lei in un suo figlio arrabbiato, da quel comando ubbidiente che una madre aveva saputo dare al figlio. Per vent’anni, ad ogni figlio che le nasceva, nei tanti momenti in cui conosceva la fatica del crescerlo, o la gioia di un primo vagito o di una piccola parola, come pure di un sorriso improvviso e luminoso da bambino… beh, ogni volta, aveva ripensato a quella madre e a quel figlio che le avevano donato il suo primo senso materno. Era certa che, per suo marito, forse quei due incredibili personaggi erano stati solo strumenti per salvare l’onore e garantire eterna rispettabilità presso amici e parenti. Per lei no, l’onore del casato era roba di uomini, per lei valeva solo quel reciproco gioco di obbedienza tra madre e figlio, che significava un uguale vicendevole comando.

Si era chiesta a lungo nel silenzio delle sue notti, quando l’educare i suoi figli le muoveva domande a cui non sapeva dare risposta al punto da toglierle il sonno, si era chiesta a lungo se quel giorno avesse visto un’eccessiva paritarietà tra una madre e un figlio, perché lei invece era certa che sono i figli che devono obbedire ai genitori, e questo era sempre accaduto e sempre sarebbe dovuto accadere, a lei, ai suoi figli e ai figli dei suoi figli. Eppure quella donna, dagli occhi incredibilmente dolci come carezze e dalla voce ferma, aveva anche obbedito, non solo ordinato a suo figlio, mentre suggeriva ai servi “Fate quello che vi dirà”… Cosa sapeva di suo figlio che anche lei, ora, non sapesse dei suoi? E poi, un altro fatto avveniva nella sua esperienza di donna, cioè spesso era suo marito ad intervenire tra lei e quel suo figlio sgarbato e inquieto ed era lui a porre la parola del comando ultimo che li slegava da un eccessivo legame di rancore reciproco .

Ma un padre a Cana non c’era, lei almeno non l’aveva visto con loro. Eppure era infinito l’equilibrio che quella madre e quel figlio riuscivano a tenere, senza intervento esterno, solo guardandosi e riconoscendo la loro relazione come unica forza per mantenersi ciascuno nel proprio debito posto. Si stupiva, mentre quella sera stendeva i tappeti per la notte …. Se è la relazione che regola la possibilità di andar d’accordo anche con un figlio, come riuscirò a rapportarmi con un’altra persona di cui non conosco a fondo il cuore? Ricordò ancora quella donna, Maria aveva sentito che la chiamavano alcuni nel gruppetto dei galilei…

Maria aveva saputo parlare al cuore di suo figlio perché sicuramente lo aveva guardato e ascoltato molto, prima ancora di chiedergli di ascoltarla. Maria forse gli aveva mostrato il suo cuore, esponendosi al dramma di non essere compresa come stava accadendo a lei. Quella Maria le aveva fatto udire una voce potente, non necessariamente virile ed esterna, capace di creare un legame col figlio. E, nel suo essere madre, aveva rispettato il “tempo” ormai adulto del figlio esponendosi lei stessa, fragile, alla possibilità di un rifiuto, per diventare forte nella certezza di un’accoglienza. Così il Figlio le aveva risposto, mostrando come l’amore tra loro potesse riaccendere anche una festa morente. Si scosse: il vino, è vero, il vino! Si ricordò che doveva uscire ad attingere vino dall’anfora sotto il portico, perché era ormai si era fatta ora di cena. Alle sue spalle, mentre era curva con la sua brocca in mano, i passi di suo figlio che stava rientrando…”

 

3 risposte a “La sposa di Cana”

  1. Maria D'Asaro ha detto:

    Che grazie mettere in bocca a una madre riflessioni così ricche e nutrienti …

  2. Santo Trimarchi ha detto:

    Una madre che genera un figlio genera la vita e la vita si rigenera sempre ogni giorno nella relazione, nella disponibilità ad accogliere l’altro che viene, che porta avanti qualcosa di nuovo, di buono, di bello. La vita non si ferma, non si blocca davanti a nulla, non c’è mancanza che possa impedire una realtà rinnovata, la gioia di ricominciare, la bellezza di un sapore diverso.

  3. Santo Trimarchi ha detto:

    Una madre che genera un figlio genera la vita e la vita si rigenera sempre ogni giorno nella relazione, nella disponibilità ad accogliere l’altro che viene, che porta avanti qualcosa di nuovo, di buono, di bello. La vita non si ferma, non si blocca davanti a nulla, non c’è mancanza che possa impedire una realtà rinnovata, la gioia di ricominciare, la bellezza di un sapore diverso. La privazione crea una situazione nuova, mette a disposizione le risorse che ci sono nella relazione ed è sufficiente uno sguardo d’amore, l’attenzione a quel che succede attorno, al bisogno degli altri, basta mettersi in ascolto per rendersi conto di chi ha la possibilità di affrontare la situazione, intervenire per risolvere, prendersi cura e rimanere nella relazione per crescere insieme, essere alleati, maturi d’amore!

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