Prosegue in queste domeniche di agosto la lettura del capitolo 6 del Vangelo di Giovanni: il discorso, o, meglio, la controversia sul Pane dal cielo, che fa seguito alla moltiplicazione del pane terreno. Siamo ormai alla terza tappa, accompagnata, come nelle domeniche precedenti, da un brano in tema dall’AT. Questa volta tocca ad un passo che vede protagonista il profeta Elia.
Incontriamo il profeta in un momento di scoramento «Ora basta, Signore! Prendi la mia vita, perché io non sono migliore dei miei padri» Essere migliore dei propri padri, che poi vuol dire essere migliori dei propri simili. A cosa si riferisce il profeta? A qualche episodio in particolare occorso in precedenza? Oppure, semplicemente, all’essere stato prescelto come profeta? Tuttavia, a ben vedere, questa frase, prima o poi, affiora nei pensieri di tutti. Pensiamo di poter essere migliori degli altri, semplicemente migliori, più forti. Invece no, prima o poi tocca fare i conti con i propri limiti, la propria fragilità, i fallimenti. In proposito sovvengono almeno due citazioni. Il dolcissimo Salmo 131 ci fa ripetere: Signore, non si esalta il mio cuore né i miei occhi guardano in alto; non vado cercando cose grandi né meraviglie più alte di me. Fa eco San Paolo ai Romani: io dico a ciascuno di voi: non valutatevi più di quanto conviene, ma valutatevi in modo saggio e giusto, ciascuno secondo la misura di fede che Dio gli ha dato. È facile leggere queste cose nelle Scritture, ma, prima o poi, nel momento amaro del fallimento, si finisce per voler gettare la spugna, più o meno come sembra voglia fare Elia. Ne abbiamo avuto tutti quanti evidenza in giorni recenti, in occasione di competizioni sportive: quanto è difficile arrivare secondi! Pure la cultura pop(olare) contiene tracce dei giorni difficili, in cui si rivede la propria vita, con bilanci mai quadrati.
Arriva un pane dal cielo con un orcio di acqua, ma il profeta non si rialza. Solo l’insistenza dell’angelo riesce a smuovere Elia: è troppo lungo per te il cammino. Parole semplici: una presa di coscienza e un sottinteso, devi continuare a camminare.
Ma dove si trova, Signore, la forza per affrontare il cammino dei giorni? Come affrontare un nuovo mattino se nel giorno precedente c’è stata una caduta, forse pure rovinosa? Qui il discorso si fa complicato. L’approccio del giovane è (o dovrebbe essere) quello che di chi vede davanti a sé smisurate energie ed infinite possibilità; l’entusiasmo va a braccetto con l’incoscienza, che sconfina talvolta nella spavalderia. Siamo noi adulti che iniziamo ad accumulare esperienze, abbozzare bilanci, contare i giorni, commisurare le forze alle imprese. Ma, a pensarci bene, anche una singola giornata può essere un cammino troppo lungo, se le forze sono ormai allo stremo, come per tanti nostri anziani. Abbiamo bisogno di sostegno. Il pane offerto dall’angelo è, evidentemente, figura del Pane eucaristico, quello che ci sostiene per tutto il pellegrinaggio in questa valle di lacrime, fino alla mensa del cielo. Un segno scelto non a caso, ma eloquente rispetto al nostro essere creature: come è sostegno indispensabile il cibo sulla tavola, così è sostegno l’Eucaristia. E non sarà quello l’unico sostegno di cui avremo bisogno: avremo bisogno della compagnia dei fratelli, di abbracci, di parole buone, della Parola.
Se la frase di Elia poteva sembrarci l’esito di un doloroso discorso interiore, nel vangelo il soliloquio si fa mormorazione. In qualche modo si registra un regresso: non c’è un interlocutore, non c’è dialogo, si pensa ad alta voce, cercando esclusivamente quelli che sono sulla stessa lunghezza d’onda. I paletti del recinto mentale sono stati fissati (noi sappiamo “chi è Gesù”), dunque sembra che non ci siano varchi per accogliere una parola di novità.
Nel brano del Vangelo, infine, troviamo anche espressioni da parte di Gesù che possono suonare perentorie: Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno. Fanno parte del repertorio di frasi che, per il loro carattere netto, saremmo tentati di tagliare dalla conversazione quotidiana e dal discorso pastorale. Se è davvero indispensabile nutrirsi di Te, che ne sarà di quelli, e sono tanti, che non lo fanno? Hanno volti cari: quello di un fratello, quello di un figlio, quello di un amico. Possibile che per loro, uomini come noi, con vizi e virtù, assenti alla tua mensa, le porte della tua casa rimangano chiuse?
Di fronte a frasi come queste, che non sono poche, una possibilità è la censura, metterle da parte in attesa di momenti opportuni. Un’alternativa, se non si dispone di strumenti culturali adeguati, è quella di arrampicarsi sugli specchi, cercando una spiegazione quanto più possibile inclusiva, politically correct. Poi rimane il mistero. Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre. Chiunque ha ascoltato il Padre e ha imparato da lui, viene a me. Si arriva a Cristo, al suo corpo visibile, la Chiesa, dopo aver ascoltato la voce del Padre. Ma come si ascolta la voce di un Padre invisibile: non sarà forse nel sacrario inviolabile della coscienza (GS 16)?
Di recente, visitando musei, ho avuto modo di notare, in diversi dipinti, Gesù bambino deposto sopra, o accanto, a un fascio di grano: destino di Gesù, e dei cristiani, è quello di farsi pane. Ma, prima ancora, come Gesù è la Parola eterna del Padre, anche i cristiani possono farsi eco della parola che hanno udito, eco gentile come il sussurro di una brezza leggera ascoltato da Elia sull’Oreb. Potrà essere questa la via per arrivare insieme a Cristo, e a quel mistero grande che sarà il Regno. Esattamente l’opposto della mormorazione ottusa e inconcludente.
Grazie per il vostro commento che mi ha offerto molti spunti su cui riflettere.
La vicenda di Eliah mi ha colpito particolarmente, forse perché mi riconosco nella sua frustrazione se non disperazione in questo momento della mia vita in parte anche a causa delle gerarchie cattoliche delle quali purtroppo ho toccato con mano la loro totale sterilità e incapacità relazionale.
Sento un profondo bisogno di sostare e leggere in profondità questa pagina senza scivolare via rapidamente verso frasi un po’ scontate come “avremo bisogno della compagnia dei fratelli, di abbracci, di parole buone” in quanto proprio la solitudine e l’isolamento costituiscono il grande dramma dei nostri tempi.
Penso all’angoscia di Eliah che è l’angoscia esistenziale di un numero senza fine di persone, alle quali però gli angeli stentano apparire.
Elia sembra un precursore di Gesù, obbedisce ai comandi di Dio, opera secondo la Parola del Signore ma incontra avverso di essa il volere di gente che non la accetta, malgrado operi miracoli di bene, incontra forte opposizione tanto che deve fuggire per salvare la vita e stare ramingo. E’ stanco a combattere una battaglia che sembra non avere fine, si sente solo malgrado il potere che Dio gli dà superato da uno piu superiore che lo fa fuggire, prova stanchezza e per questo anche i limiti come uomo tanto da dire ” Ora basta Signore. Prendi la mia vita perché io non sono migliore dei miei padri”. E Dio lo soccorre, gli dà la forza per proseguire la “missione” che era nel Suo pensiero. Anche Gesù Cristo è stato missionario da Figlio di Dio ha portato a termine il disegno di salvezza di tutti gli uomini, ma anche missione che è continuata e continua oggi dalla Chiesa. Stanchezza, si, paura, si, contrasti si, ancora oggi