Il fuoco dentro

«Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, io vi dico, ma divisione»
14 Agosto 2016

XX domenica del tempo ordinario: Lc 12,49-53

IL PROFETA GEREMIA (Michelangelo Buonarroti, 1512, Città del Vaticano, Cappella Sistina)

 

Alla riflessione di queste settimane sul servire, serve la scossa delle letture di oggi. Per cogliere che tra servire e fare la persona di servizio c’è qualche differenza. Per non pensare che il lavoro del cristiano sia una serie di cose da fare e una serie di cose da non fare.

La differenza è nel fuoco di cui parla Gesù. Lo stesso che fece scalpore sedici anni fa, quando, in chiusura della GMG di Roma, San Giovanni Paolo II disse ai giovani, parafrasando un’espressione di Santa Caterina da Siena: «Se sarete quello che dovete essere, metterete fuoco in tutto il mondo!». Con analoga grinta papa Francesco si è rivolto, circa quindici giorni fa, ai giovani della GMG di Cracovia: «Mi addolora incontrare giovani che sembrano pensionati prima del tempo… Mi preoccupa vedere giovani che hanno gettato la spugna prima di iniziare la partita. Che si sono arresi senza aver cominciato a giocare. Mi addolora vedere giovani che camminano con la faccia triste, come se la loro vita non avesse valore».

Domandiamoci se, col fuoco che abbiamo dentro, siamo capaci di ardere e di illuminare. Se siamo degli entusiasti, pieni di passione per ciò che facciamo. Se siamo capaci di prendere posizione, dicendo dei sì e dei no scomodi, a volte sgraditi anche in famiglia. Ci tocca lottare anche contro un esercito di spegnitori: i «quietisti», come li chiama papa Francesco, che hanno già le mani in alto in segno di resa, che di fronte al male sanno solo dire «Non ci si può fare nulla… Nulla si può cambiare»; gente che non sogna cieli nuovi e terra nuova, che non vuole sentire osservazioni e fa tacere i profeti. Preferendo quelli falsi, bravi a prospettare una pace-quiete.

La prima lettura narra di Geremia, gettato in una cisterna perché non disturbasse più la tranquillità dei connazionali. Nel profeta – in cui Michelangelo forse si identificò e al quale donò le proprie sembianze – non vogliamo vedere la stanchezza, l’uomo vinto che ne ha prese tante, ma quello, forte come una quercia, che sta già pensando alla contromossa per rispondere ai pompieri. Dipinto per ultimo, quasi alla fine dei lavori della Sistina, Geremia si distingue dagli altri profeti per alcune caratteristiche: è l’unico a non tenere in mano un libro o un cartiglio, ha alle proprie spalle degli assistenti non più giovani e soprattutto è l’unico a indossare calzature: lo vogliamo pensare già pronto a rimettersi in cammino.

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