«Guardare indietro è un po’ come rinnovare i propri occhi, risanarli.
Renderli più adeguati alla loro funzione primaria, guardare avanti».
Margaret Fairless Barber
«Un popolo senza memoria è un popolo senza futuro»: così lo scrittore cileno Luis Sepúlveda sottolineava lo stretto legame che esiste tra il passato, custodito dalla memoria, la comprensione del presente e, quindi, la costruzione del futuro. In un mondo sempre più accelerato, iper-connesso ma dis-connesso allo stesso modo, con una memoria sempre più “a breve termine”, riscoprire questo principio risulta decisivo. Sono consapevole, lo so, che ancora una volta mi trovo ad insistere su questo tema importante quanto fragile. Ma è necessario. La sera del 4 dicembre del 1921, a Casteldaccia, di ritorno a casa, viene ucciso dalla mafia locale padre Ignazio Modica. Un uomo, ancor prima che prete, ucciso perché credeva realmente nella giustizia sociale e nella lotta, se così vogliamo definirla, per i diritti dei più deboli; gli stessi diritti che sarebbero serviti ad evitare quell’atteggiamento di prevaricazione dei più forti, in questo caso gli esponenti mafiosi e chi, insieme e come loro, si arricchiva di soldi e di potere, sui più deboli. Insomma: ucciso perché scomodo.
È proprio a partire da questo tragico, ma significativo, evento in sé che la questione urgente su cui iniziare a riflettere, seriamente, diviene la perdita di questo passato. Si rischia – per dirla con Bodei – di diventare come dei pulcini che escono dal guscio e si ritrovano in un mondo già fatto. Invece, una cosa importante, più in generale e non solo nella memoria, è sapere che ognuno di noi viene al mondo in un certo tempo ed in un certo luogo e, a tappe forzate, deve situarsi nel mondo. Queste tappe implicano, però, che ciascuno di noi appartiene ad una cultura che si è formata negli anni, nei millenni. E se non si conosce questa cultura, in un mondo sempre più multiforme, si finisce per diventare degli sprovveduti. Avere una memoria storica, diversamente, cioè sapere che noi siamo diventati quello che siamo attraverso un processo e non siamo stati scodellati nel tempo e nello spazio, è un fatto importante. Ne va della nostra identità e del nostro futuro ma, anche, permettetemi, della nostra dignità.
Sono certamente consapevole che la memoria è difficile, a volte scomoda, non di rado la si lascia scivolare nell’indifferenza ma la faccenda è seria e io credo che sia arrivato il momento di scegliere, senza timori, se vogliamo continuare a proclamare la necessità del rinnovamento pensando di poterlo attuare con qualche toppa su un vestito logoro o se invece vogliamo finalmente cambiare vestito – habitus – come raccomanda Gesù: «Nessuno mette un pezzo di stoffa grezza su un vestito vecchio, perché il rattoppo squarcia ancora di più il vestito e lo strappo diventa peggiore» (Mt 9,16). Solo in questa prospettiva la memoria di padre Ignazio Modica, inserita in questo tempo che continua a coprire ciò che del passato ci è scomodo ricordare, diviene spazio ermeneutico, di interpretazione, di comprensione, del presente che abitiamo. Per questo, infatti, se il passato è il luogo dove cercare i ricordi, base per costruire la memoria, il presente è il tempo dell’iniziativa, di quel cominciare dell’azione che apre al futuro attraverso la promessa. Promettere nel presente, d’altronde, è scommettere che il male non faccia sistema; significa costruire un’attestazione di fiducia verso l’altro, verso se stessi, verso la comunità alla quale si appartiene.
La memoria, tuttavia, non deve essere solo un ricordo passivo di ciò che è stato e non deve neppure trasformarsi in un monumento istituzionalizzato consegnato alla storia, ma deve essere invece memoria viva. Per questo è necessario seminare, con consapevolezza, evitando toni omertosi, la memoria nel presente e renderla parte della coscienza individuale. Bisogna creare una memoria storica, corale, condivisa, comune a un gruppo sia esso religioso o civile. La memoria della morte di padre Ignazio Modica, che deve essere viva e vitale per tutti noi dunque, pur tra mille contraddizioni e tensioni, resta comunque quel terreno fecondo nel quale lo Spirito di Dio sta portando qualcosa di buono. Come sottolineava il cardinale Martini, nella lettera pastorale Tre racconti dello Spirito: «Lo Spirito c’è, anche oggi, come al tempo di Gesù e degli Apostoli: c’è e sta operando, arriva prima di noi, lavora più di noi e meglio di noi; a noi non tocca né seminarlo né svegliarlo, ma anzitutto riconoscerlo, accoglierlo, assecondarlo, fargli strada, andargli dietro. C’è e non si è mai perso d’animo rispetto al nostro tempo; al contrario sorride, danza, penetra, investe, avvolge, arriva anche là dove mai avremmo immaginato. Di fronte alla crisi nodale della nostra epoca che è la perdita del senso dell’invisibile e del Trascendente, la crisi del senso di Dio, lo Spirito sta giocando, nell’invisibilità e nella piccolezza, la sua partita vittoriosa»
È confortante, che giovani come Giuseppe, promuovano e credano in valori come la memoria di un passato, che ha segnato le coscienze. Un passato sempre presente, per poter meglio vivere l’oggi e progettare così il futuro dove il sacrificio di molti non è servito invano.
Bravo Giuseppe Canale ! Che i martiri di ieri abbiano almeno il ricordo grato dei combattenti di oggi.
Molto interessante, grazie per questa riflessione che ci induce a fare della memoria un atto vivo.