Sinodo dei giovani: «a scuola» dalla Scuola

Alla vigilia ormai dell'assemblea voluta da papa Francesco rileggiamo alcuni nodi del rapporto tra Chiesa e giovani presenti nel documento che farà da traccia ai lavori. Iniziando dal tema della scuola
1 Settembre 2018

Il primo di Settembre, per noi insegnanti, rappresenta l’inizio ufficiale del nuovo anno scolastico. Salvo cada di domenica, i neoassunti e le diverse tipologie di supplenti devono prendere servizio in questo giorno – e in questo giorno è calendarizzato, di solito, il primo collegio docenti. Con il 31 agosto, poi, terminano le ferie. Che molti docenti passano non solo a recuperare le molte energie – soprattutto psichiche – spese durante l’anno, ma anche a portare avanti quell’aggiornamento personale che richiede un tempo prolungato ed una mente riposata, se si vogliono leggere libri e – perché no – vedere film e ascoltare musica che siano in grado di arricchire le lezioni ordinarie e coinvolgere maggiormente gli studenti.

Solo così, d’altronde, si può fuggire il pericolo di dare vita a “sistemi scolastici e universitari che si limitano a informare senza formare, che non aiutano la maturazione di uno spirito critico e l’approfondimento del senso anche vocazionale dello studio” (Instrumentum Laboris, §19), anzi, come già qui denunciato, che declinano sempre più il sapere “in chiave eccessivamente utilitaristica, enfatizzando la spendibilità delle nozioni acquisite nel mondo del lavoro più che la crescita delle persone”, quando “occorre invece collocare le competenze tecniche e scientifiche in una prospettiva integrale” che sappia “coniugare intelletto e desiderio, ragione e affettività, (…) dimensione spirituale [e] impegno culturale, (…) percorsi di senso personali [e] traiettorie di bene comune” (§147).

Tale riduzionismo tecnicistico (§152) non può non preoccupare la Chiesa nel momento in cui essa, non solo riconosce che «praticamente tutte le Conferenze Episcopali sottolineano la rilevanza che scuola, università e istituzioni formative hanno nell’accompagnamento dei giovani nel loro percorso di ricerca di un progetto personale di vita e per lo sviluppo della società» (§146; cfr. anche §127), ma soprattutto evidenzia che «in molte regioni sono il principale, se non l’unico, luogo non dichiaratamente ecclesiale in cui molti giovani entrano in contatto con la Chiesa. In alcuni casi diventano persino un’alternativa alle parrocchie, che molti giovani non conoscono né frequentano» (§146) – e che “talvolta (…) non sono più luoghi d’incontro” (§21).

A questa consapevolezza ecclesiale possiamo affiancarne una seconda altrettanto importante, secondo la quale, nel processo di ascolto dei giovani da parte delle Chiese locali, “in genere viene privilegiata l’attenzione ai giovani che appartengono alle realtà ecclesiali e vi sono attivi, col rischio di ritenerli rappresentativi dell’intero mondo giovanile” – non a caso il famoso questionario-on-line “ha visto una partecipazione maggioritaria di giovani già inseriti in circuiti ecclesiali”, per cui “è stato da molti ribadito che il modo migliore per ascoltare i giovani è essere lì dove si trovano, condividendo la loro esistenza quotidiana”(§64) – anche se, a tal proposito, “parecchie risposte delle Conferenze Episcopali segnalano che diverse comunità cristiane e molti pastori hanno una carente sensibilità educativa” (§179).

L’accostamento di questi due passaggi dell’Instrumentum laboris, però, potrebbe condurre la Chiesa anche a conclusioni piene di speranza – e alle quali i lettori di VinoNuovo sono abituati. Se la scuola è uno dei luoghi, se non il luogo per eccellenza, in cui adulti cattolici incontrano, ascoltano, dialogano, provocano, orientano giovani ormai del tutto extra ecclesiam, che cosa aspettiamo ancora, non certo ad ‘invaderla’ o ad usare gli insegnanti come ‘esche’, ma ad ascoltare in modo sistematico questi mediatori della realtà giovanile odierna, e a strutturare forme di collaborazione e corresponsabilità con questi osservatori viventi forniti di cannocchiali sempre puntati sul pianeta giovani? Ovviamente facendoli interagire costantemente con le altre componenti ecclesiali che incontrano lo stesso giovane, seppur da un altro punto di vista (catechetico, pastorale, universitario, vocazionale, etc.)?

L’instrumentum laboris evoca a tal proposito conversioni pastorali sistemiche (§148). Intanto, scorrendo le pagine del sito della CEI, si potrebbe cominciare con il rendere accessibili ai docenti che lo desiderino i risultati dei seminari di studio e dei laboratori legati ai corsi di aggiornamento tenuti dagli uffici e servizi nazionali in questione (pastorale giovanile, educazione scuola e università, insegnamento religione cattolica, catechistico, vocazionale), per poi prevedere consulte nazionali e regionali accessibili ad un’ampia platea di operatori sul territorio ed il più possibile trasparenti dal punto di vista delle discussioni sviluppate, e finalmente la costituzione di una ‘rete’ educativa (§204) e di una “pastorale integrata” (§209), della cui necessità si parla da anni ma della cui realizzazione – o almeno progettazione – non vi sono evidenti o continue tracce pubbliche.

Senza dimenticare che si sente sempre di più il bisogno di rovesciare l’ordine stesso dei lavori, tipico di questi incontri, prevedendo inizialmente i momenti di scambio e confronto dei partecipanti e solo di seguito l’intervento degli esperti – preferibilmente sulle problematiche emerse nei laboratori, le cui relazioni potrebbero comunque essere lette dai partecipanti, con maggior profitto, prima dell’incontro stesso.

Certo un po’ di scoramento ci assale quando leggiamo che “in alcuni contesti la catechesi è svolta all’interno dei percorsi scolastici e quindi l’insegnamento della religione riveste una grande importanza per la maturazione vocazionale dei giovani” (§193). Non ci si è resi conto della confusione deleteria che in tal modo si genera ancora tra catechesi e insegnamento della religione? E se qualcuno se ne è reso conto, non ha potuto chiedere o ottenere di descrivere in modo adeguato quel rapporto di complementarietà (di soggetti ed oggetto) e distinzione (di metodo e scopo) che è ormai chiarito dai tempi di Giovanni Paolo II?

E’ consolante invece notare che, in questo percorso di avvicinamento al Sinodo, sono i giovani a chiedere per primi alla Chiesa una “solidità culturale”(§67) ed “una elaborazione culturale della fede che permetta un dialogo fecondo con gli altri saperi e le altre tradizioni religiose”(§70), “con i non credenti e con il mondo secolare nel suo insieme”(§197), ricordandole che “le risorse investite in questi campi non sono mai sprecate: si tratta dei luoghi in cui molti giovani trascorrono la maggior parte del loro tempo e spesso si confrontano con persone di diversa estrazione sociale ed economica»(§146).

Ma – ci chiediamo – si vorranno investire queste risorse che, prima ancora che economiche, sono progettuali (§206) e richiedono un grande sforzo in comune di pensiero?

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