La missionaria col pancione

In cattedra sale Silvia, in attesa del terzo figlio, che vive da otto anni in Nicaragua. “Chi te l’ha fatto fare…?" le chiedono gli alunni della quarta superiore
1 Ottobre 2011

“Anche a me piacerebbe un giorno, nell’attesa di cercarmi un lavoro dopo maturità, fare un’esperienza di volontariato in Centro America”, interviene alla fine dall’ultimo banco una delle “quartine” dell’Istituto per il Commercio. Ma anche gli altri studenti non han sentito la campanella della ricreazione, tanto erano presi dall’ascoltare quella missionaria col pancione – il viso acqua e sapone, un fiore gialloarancio sul premaman nero – che per due ore li ha conquistati narrando il suo servizio missionario in Nicaragua.
Capita anche questo “Sulle rotte del mondo”, la collaudata manifestazione in cui la Provincia autonomia di Trento, d’intesa con la diocesi, regala un biglietto aereo ai suoi missionari (quest’anno tocca agli “americani”, ne sono arrivati un’ottantina) perché rientrino a comunicare la loro vita in dibattiti, interviste, veglie e incontri nelle scuole (il programma in www.missonetrentino.it) .
Comincia bene il mese d’ottobre (stasera c’è la veglia qui come in molte diocesi) quando s’infrange il pregiudizio secondo cui “fare il missionario” sarebbe roba d’altri tempi. Se è vero che la maggioranza dei “nostri eroi” hanno ormai capelli d’argento (come quello vivo che si portano dentro), ci sono anche alcuni laici che investendo la loro vita nel Vangelo han trovato… – come si usa dire – l’America. Laici – donne e giovani anche – come Silvia Valduga, classe 1978, laurea in Scienze dell’Educazione, che dal 2002 è in Nicaragua dove si è sposata con Gerald, ha due figli (Niage e Noa) e un terzo in arrivo all’alba del 2012.
“Anch’io come voi dopo le superiori ho cominciato a guardarmi intorno. Ho fatto due mesi di volontariato in Romania e da lì… ” il racconto di Silvia si snoda fra il servizio nel dopoguerra in Croazia, la marcia di riconciliazione in Congo, un intervento di pace nel Chiapas fino all’attuale missione “La Immaculata” a Waslala, a 8 ore di pullman traballante dalla capitale Managua.
“Nella mia parrocchia mi sono dedicata alla pastorale sociale. A proposito, sapete cosa significa?” Ai ragazzi incuriositi può parlare di medicina naturale, gruppi per madre sole, progetti per “liberare” i bambini lavavetri, serate sui diritti delle donne: “Preti e suore sono davvero pochi laggiù – aggiunge – . Noi laici possiamo dare un buon aiuto, come sposa e madre posso condividere da vicino certe situazioni”.
Dalla classe silenziosa filtra finalmente una domanda: “Ma parte anche lì da voi il commercio equo?” e Silvia allora sale in cattedra, documentando cosa succede quando non sono i piccoli produttori a poter fissare il prezzo del caffè: “Anche voi ragazzi, con i vostri consumi critici aiutate la nostra gente e potete cambiare almeno in parte un sistema mondiale!” insiste allora, invitando a non credere a chi usa l’espressione “Paesi in via di sviluppo” perché – in verità – “la via dello sviluppo è ancora lunga”.
Mancano dieci minuti, ma non c’è fretta di “fare la cartella”. Un ragazzo immigrato chiede come la volontaria si sia sentita appena sbarcata in Nicaragua, altri affondano con un “ma chi te l’ha fatto fare?”. Spunta quel desiderio di “felicità” soddisfatto con pazienza anche senza le comodità (“stiamo anche venti giorni senz’acqua a casa nostra”) e nutrito dal Vangelo vivo, letto insieme alla gente e celebrato in chiesa “come se fosse sempre festa”.
Silvia ora scende dalla cattedra, resta con i piedi per terra, confida di prevedere di dover tornare un giorno in Italia. “Sapete una cosa, però, ragazzi? Preti o suore o laici, alla fine noi siamo tutti missionari, se riusciamo a dare un progetto alla nostra vita, una missione appunto”. E loro lasciano riconoscenti l’aula, anzi: qualcuno si ferma ancora un po’ per farsi dare qualche recapito da quella missionaria così “tosta”.

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