Due cuori e una parrocchia

San Valentino ai tempi delle convivenze diffuse: confrontiamoci sui ritardi e sulle novità dell'attenzione pastorale ai fidanzati
11 Febbraio 2014

La liturgia consumista con cuoricini d’oro e fiorai d’assalto è stonata, d’accordo. Ma perché a San Valentino ben poche comunità cristiane imitano la diocesi di Terni che ogni anno convoca ad una gioiosa celebrazione tutti i “promessi sposi” dei successivi dodici mesi?
Per il 14 febbraio lì c’è una tradizione favorita dal patrono Valentino, ma possiamo chiederci come mai non si riesca a dare evidenza al fidanzamento, a questo “tempo di grazia” più “predicato” nei documenti ecclesiali che valorizzato nella pratica.
È raro sentire una preghiera dei fedeli “per i nostri giovani chiamati al matrimonio”, rarissimo chiedere a una coppia prossima all’altare di offrire una testimonianza ai ragazzini, magari proponendole poi di assumersi un servizio in parrocchia. Oppure, di organizzare una gioiosa convention per tutti gli innamorati con l’ascolto di quel “Cantico dei cantici” che ancora oggi è così incompreso.
Risulterebbero forse degli spot (mai come quelli dei cioccolatini, peraltro), utili comunque per avvicinare gli innamorati ad una Parola che risponde alle loro attese, sostenendo pure l’impegno di chi vuol qualificare la preparazione al matrimonio con itinerari e proposte aggiornate. Lo stesso termine “fidanzato”, con la sua radice esigente e impegnativa (“la fiducia è una cosa seria”), suona un po’ paleozoico ai ragazzi di oggi che, col timore di essere incompresi, preferiscono tenere la distanza anche nel momento in cui tornano a bussare ad una canonica stringendosi la mano.
Non dobbiamo nasconderci o minimizzare il dato di fatto che un crescente numero di questi giovani si trova già a convivere; ciò non toglie che la loro domanda vada accolta con cura attenta. E con la fiducia che da questa delicata stagione possano maturare frutti insperati.
Ma i nodi che vengono al pettine negli incontri prematrimoniali s’intrecciano con i legami liquidi dei teen ager, col loro San Valentino da profilo Facebook (impegnato/a o fidanzato/a ufficialmente o …relazione complicata) o bombardato dalle proposte di “sexting”, l’invio d’immagini sessualmente esplicite. Di fronte a questa precocità di stimoli non solo virtuali, la proposta cristiana sembra scontare il ritardo nel considerare l’educazione all’affettività come “spina dorsale” dell’educare. L’immagine è del convegno Cei del 2004 che ha riconosciuto l’esigenza di un accompagnamento dei preadolescenti (non si comincia mai troppo presto ad educare in quest’ambito) nella cultura di oggi. “Assistiamo ad una sorta di ipertrofia dell’affetto, uno sbilanciamento a favore degli aspetti emozionali a discapito di quelli valoriali” si sentì dire a Verona 2006, nel primo convegno ecclesiale che mise a tema l’affettività e denunciò il rischio di arrendersi a ritenerla “non educabile”.
Lo sanno bene le realtà diocesane che – coinvolgendo finalmente pastorale giovanile, vocazionale e familiare – si son date da fare in questi ultimi anni per far scoprire ai giovani “una proposta nuova che rivela una Chiesa non bigotta o castrante rispetto all’esperienza dell’amore”.
Lo riconoscono educatori e animatori che riescono a inserire nel percorso annuale dei ragazzi problematiche che li interessano sulla pelle: non è vero che “sanno già tutto” e quindi ben vengano tecniche aggiornate per entrare in dialogo profondo, oltre l’approccio spesso solo “informativo” sperimentato a scuola.
E i genitori? La fragilità diffusa non aiuta, ma è importante “esserci” nella stagione delle cotte e dei progetti di vita, con l’atteggiamento di chi accompagna a distanza e sa mettere qualche utile paletto. Mentre nutre la fiducia che la testimonianza ruspante e domestica di un amore rinnovato ogni giorno costituisce per i figli un faro anche nei problemi di cuore.

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