Ho sempre avuto un debole per le ultime parole. Quelle che raramente vengono utilizzate per dare il titolo a un testo, ma a volte è un vero peccato, perché sarebbero illuminanti almeno quanto le prime. Mi è capitato di pensarlo quest’anno in maniera particolare rileggendo il testo del “Te Deum”, la preghiera che la liturgia ci propone in questo 31 dicembre.
“Noi ti lodiamo o Dio, ti proclamiamo Signore”. Già, ma come finisce l’inno che la tradizione della Chiesa ci consegna per l’ultimo giorno dell’anno? Le ultime parole – che probabilmente come me andrete a cercare da qualche parte perché non le ricordate – recitano così: “Tu sei la nostra speranza, non saremo confusi in eterno”.
A me pare l’augurio più bello che possiamo scambiarci al termine di questo anno 2021.
Perché non so voi, ma a me l’anno che ci lasciamo alle spalle ha davvero instillato molta confusione. Questa pandemia, che con le sue ondate sembra riportarci sempre al punto di partenza, pare fatta apposta per sgretolare ogni certezza. Ma – anche al di fuori degli ormai onnipresenti discorsi su vaccini, tamponi e salute – non è che nella politica, nell’economia o nelle relazioni internazionali i punti fermi abbondino. Chiudiamo un anno di passi indietro pesanti: dalle morti sul lavoro alla catastrofe dell’Afghanistan, dagli effetti devastanti del cambiamento climatico ai tanti volti dell’emergenza educativa. La Chiesa stessa ha riscoperto la parola Sinodalità, ma fa una grande fatica a declinarla in forme che non spingano a scappare a gambe levate quelli che in teoria vorremmo ascoltare. Ci sentiamo un po’ come il popolo di Israele che girava e rigirava in un deserto non poi così grande. Ma andò avanti così per 40 anni…
Siamo confusi, ammettiamolo. E allora forse ci salva proprio quel finale del “Te Deum”, decisamente meno altisonante rispetto all’inizio. Perché certo, Dio è il Signore del tempo e della storia; ma questo non vuol dire che per il credente l’anno si debba chiudere sempre con un’analisi in cui tutto è chiaro. “Tu sei la nostra speranza, non saremo confusi in eterno”. Mi sembra un bel punto da cui ricominciare. Siamo confusi, è vero, ma non sarà sempre così. E non perché un giorno magicamente apriremo gli occhi, ma perché non siamo noi i padroni della storia. Il popolo di Israele nella Terra promessa alla fine ci è entrato, ma non perché da solo ha trovato la strada.
Ecco: accettare la nostra confusione e metterla nelle mani dell’unica nostra speranza è il primo passo per entrare in un anno davvero nuovo. Con un po’ più di umiltà, che forse questi dodici mesi strani vissuti come un grande “gioco dell’oca” ci hanno insegnato. Da domani si riparte, confusi quanto prima; ma con il desiderio profondo di riconoscere anche dentro questo guazzabuglio chi è davvero il Signore. Buon 2022 a tutti.