Il Te Deum dei debitori

Sarebbe bello se la preghiera dell'ultimo giorno dell'anno oggi la recitassimo guardando avanti più che indietro. Come il prigioniero che aspetta l’alba in cui riotterrà la sua libertà.
31 Dicembre 2024

«Ma quali cose, dimmi, sono tue? Da dove le hai prese per inserirle nella tua vita? […] Non sei uscito totalmente nudo dal ventre di tua madre? Non ritornerai, di nuovo, nudo nella terra? Da dove ti proviene quello che hai adesso? Se tu dicessi che ti deriva dal caso, negheresti Dio, non riconoscendo il Creatore e non saresti riconoscente al Donatore»

Basilio di Cesarea, citato da papa Francesco nel messaggio per la Giornata mondiale della pace 2025 “Rimetti a noi i nostri debiti, concedici la tua pace”

 

Tra i tanti stimoli offerti dal Giubileo appena cominciato c’è il suo sguardo sullo scorrere del tempo. Ci suggerisce che gli anni non scorrono via tutti uguali: nella visione biblica del libro del Levitico, ogni quarantanove anni, ne doveva arrivare uno in cui l’uomo sarebbe stato chiamato a riaffermare che nulla di ciò che abbiamo è nostro veramente. Un anno per ricordarci che siamo tutti debitori davanti a Dio. E – proprio per questo – un tempo speciale in cui adoperarci per ristabilire la giustizia nei confronti di chi, a causa di scelte o rapporti economici iniqui, ha perso i suoi beni o la sua stessa libertà.

Anche l’insistenza di papa Francesco nel rilanciare in occasione di questo Giubileo i due grandi gesti sociali sollecitati già da Giovanni Paolo II nel Duemila – la remissione del debito dei Paesi poveri e la clemenza nei confronti dei carcerati – non è qualcosa che ha a che fare con un generico obolo solidale da pagare nell’Anno Santo. È uno sguardo preciso sulla storia. Un modo per dire no all’idea di un tempo ridotto a unità di misura di condanne piccole o grandi.

Ed è pure il punto di vista dal quale siamo invitati a guardare anche a questo ultimo giorno dell’anno 2024. Noi ci ostiniamo a scrutarlo tenendo in mano i registri dei bilanci, che continuano a essere impietosi: le guerre non finiscono con il loro carico di morte sempre più doloroso, l’indifferenza e l’egoismo crescono, il creato stesso vede sempre più frequentemente saltare i suoi equilibri a causa della nostra incapacità a rinunciare a qualcosa. Così finiamo per scambiarci l’augurio più desolante: l’anno nuovo che sta per iniziare dovrà per forza essere migliore.

Il Te Deum nell’anno giubilare, invece, viene ad aiutarci a ribaltare la prospettiva. Noi di solito lo recitiamo ringraziando per quanto è andato bene durante l’anno appena trascorso. Ed è giusto che sia così. Ma è solo uno dei volti di questa preghiera. Raccogliendo il suggerimento di papa Francesco, forse il Te Deum quest’anno dovrebbe diventare la preghiera che più di ogni altra cosa ci ricorda il nostro essere debitori.

Debitori nei confronti di Dio che anche al termine di quest’anno proclamiamo Signore, certo.
Ma debitori anche nei rapporti tra di noi. Perché lo sappiamo bene: quante “rate” non siamo stati ancora capaci di pagare a chi ha avuto meno in questo anno? Quante sofferenze inutili abbiamo inflitto a chi ci è passato accanto? A quante forme di schiavitù ci siamo ancora una volta rassegnati?

È solo la consapevolezza del nostro essere debitori a permetterci di affermare realmente che c’è un ordine scritto da Dio nel tempo che passa. E a farci ritrovare quella speranza che il Giubileo annuncia.

Sarebbe bello se quest’anno il Te Deum lo recitassimo guardando avanti molto più che indietro. Facendo nostra l’impazienza dell’israelita del Levitico che conta le ore prima di riottenere il campo che ha perduto. O quella del prigioniero che aspetta l’alba in cui sa che finalmente riotterrà la sua libertà.

Noi ti lodiamo o Dio, perché il tuo tempo è l’ora che ci fa ricominciare. Non con i nostri calcoli, ma a partire dal tuo disegno di salvezza che abbraccia tutti.

Una risposta a “Il Te Deum dei debitori”

  1. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    Nel tempo che stiamo vivendo il passato ci suggerisce un ringraziamento a Dio per tutto quanto vissuto, anche ore difficili in cui siamo ricorsi al suo aiuto e nonostante sofferenza abbia aperto cuore e mente circa il vero bene con il ns. con il prossimo. Questo significa che le prove sono taumaturgiche, ci fanno riconoscere quanta verità e nel suo Vangelo. Ma il domani appare nebuloso, come trovarci in un globo terrestre che ruota vorticoso creando dissesto nel clima e anche nella vita dei suoi abitanti. Su cosa riporre speranza vi è incertezza, i fini dei governanti incerti, per arrestare il dissesto prodotto nella vita dei popoli la saggezza necessaria manca del coraggio della Fede negli ideali utili a rincuorare i popoli provati e umiliati da dolori sopportati. la Fede e l’unica luce per non cedere a rassegnazione e rinvigorire il coraggio a sperare comunque fidando in un misericordioso aiuto dall’alto

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