Qual è la parte migliore

«Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno»
17 Luglio 2016

XVI domenica del tempo ordinario: Lc 10,38-42

IN CASA DI MARTA E MARIA (Jan Vermeer, 1664-65, Edimburgo, National Gallery of Scotland)

 

Come tanti quadri, anche questo avrebbe bisogno di didascalia o, meglio, di qualcuno ad affiancargli il testo del Vangelo, perché l’immagine, da sola, non è abbastanza esplicita. Vanno infatti ricordate la lamentela di Marta («Non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille che mi aiuti») e la replica di Gesù («Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta»).

Dunque, benché ogni sorella abbia le proprie buone ragioni, Gesù è di parte. Condizionando pure noi a esserlo, così che i nostri occhi restano bassi, a contemplare colei che contempla, non colei che lavora. Mentre anche da Marta ci sarebbe da imparare molto.

In quasi tutte le opere che ritraggono le due sorelle, una appare indaffarata, quindi a mani occupate e in piedi. L’altra è in ascolto, a mani libere e seduta. Spesso nemmeno su una sedia, ma in terra o su uno sgabello, a sottolineare un piano più basso rispetto a quello di Gesù. Dare ascolto, oltre che impegnativo, comporta in qualche modo un “sottomettersi”, ritenendo superiore chi si ha di fronte. Ed evoca ciò che più tardi scriverà Paolo: «Cercate le cose di lassù… rivolgete il pensiero alle cose di lassù…» (Col 3).

Che cosa ci suggerisce Maria? Che ogni tanto, come lei, dovremmo mollare tutto, fermarci e sederci. Perché è l’unico modo per dare ascolto, per dare valore, per dire «Che bello» a ciò che è bello… E – vogliamo aggiungere – per compiacerci della strada percorsa, guardando gli anni passati insieme (una coppia di amici, nel 25mo di matrimonio, ha regalato agli invitati una piccola sedia d’argento: un richiamo a non dimenticarsi del bello, anzi a obbligarsi a guardarlo, in una vita sempre di corsa).

Su che cosa sieda Maria, poco importa. Importa la sua voglia di cose alte, sfidando chi le rinfaccia la sua inutilità, la sua improduttività, il suo sfruttamento del lavoro altrui.

Maria ha poi da fare i conti con un secondo avversario: cioè chi si appoggia alla sua bellezza spirituale per nobilitarsi (o attutire la propria bruttezza).

Son cose che succedono anche nell’arte: dalla metà del Cinquecento al primo quarto del Seicento, questo soggetto è stato scippato da una pittura di genere che lo usava come sfondo, mettendo in primo piano un trionfo di cibi: quarti di bue, cacciagione, pollame, pesci, frutta, verdura… Con una celebrazione così smaccata della materia, che gli artisti – quasi per chiedere scusa – lasciavano allo spirito un angolino: dove collocavano Gesù e le sorelle di Betania, a malapena visibili. Un dipinto nel dipinto (giusto per fare qualche nome: gli italiani Vincenzo Campi e Jacopo Bassano, coi suoi familiari, i fiamminghi Aertsen e Beuckelaer…).

Tale moda arrivò a contagiare persino un grande come Velázquez. Per fortuna l’ambiente di Vermeer, di poco successivo, è tornato sobrio e l’unica concessione alla materia è il pane nella cesta. Le cose che contano sono nuovamente in primo piano e fa piacere vedere Gesù in una dimensione privata, ospite in casa di amici…

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