Le parabole sono il ritratto del regno di Dio

«Non rallegratevi… perché i demoni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli»
3 Luglio 2016

XIV domenica del tempo ordinario: Lc 10,1-12.17-20

CRISTO NELLE PERIFERIE (Georges Rouault, 1920-24, Tokyo, Bridgestone Museum of Art)

 

Potrebbe essere un presepio di trent’anni dopo, con un bambino che non è più bambino e finalmente parla. Qui colto mentre sta mandando due dei suoi in cerca degli uomini, nelle loro strade, quando il sole se n’è andato e la speranza vacilla. Perché siano contenti di accendere la luce con la bella notizia che «il regno di Dio è vicino». Da proclamare tanto a chi li accoglierà quanto a chi non li accoglierà.

Gesù faceva lo stesso con le parabole e possiamo immaginarlo con la passione di un cantastorie quando le raccontava. E forse le accompagnava con delle figure, tracciate sulla terra. E magari gli capitava di raccontarle un’altra volta, su richiesta dei bambini. Non convinto che l’unico linguaggio sia l’esempio. Né convinto che, di Dio, «meno si parla, meglio se ne parla».

A onor del vero, Dio non viene mai nominato ma sempre si fa intravedere, in queste storielle prive anche di angeli e di miracoli. Che però rendono l’idea di come il regno sia possibile.

Qualcosa ci dice che tali racconti, che incontreremo spesso nelle prossime domeniche, venissero fatti camminando. A indicare che su nessuno di loro ci si può fermare come se fosse un’immagine definitiva. E per farci sentire, a un tempo, nelle mani di Dio e nei nostri piedi: perché il regno di Dio, più che da sognare, è da raggiungere con delle scelte di vita.

Ci auguriamo una ripresa d’interesse verso le parabole, che non venivano dette a caso ma al momento giusto. Ad esempio, le tre della misericordia (cioè della pecora, della moneta e del figlio prima perduti e poi ritrovati) sono narrate dopo i pettegolezzi sul Signore che mangiava con i peccatori: per far capire perché Gesù non li vuole perdere, perché li vuole includere e non escludere.

Sono storie che talvolta possono lasciare un po’ d’amaro in bocca e non avere il lieto fine. Qualcuna sembra persino inconclusa: quella, bellissima, del padre misericordioso lì per lì finisce bene, ma la felicità per il figlio tornato è oscurata dal figlio che non gioisce… e che non si sa se si riconcilierà col padre e col fratello.

Eppure osiamo pensare che Gesù, come tutti i narratori, si sia anche divertito a raccontarle. E che sovente l’abbia fatto per rallegrare. Di sicuro gli sarà successo con quella dei lavoratori a giornata e dell’ultima ora (Mt 20), che pare confezionata per Pietro, ossessionato dalla ricompensa e da poco rassicurato col discorso del centuplo. Prevedibile lo sconcerto del principe degli apostoli, che avrà sbottato: «Non è possibile! Ma allora guadagniamo tutti la stessa cifra!». È una storia che mostra, come diceva Alberto Sordi, che «a Dio piace scherzare».

 

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