XVII domenica del tempo ordinario: Lc 11,1-13
L’AMICO IMPORTUNATO (John Everett Millais, 1864)
Non essendo facile trovare opere d’arte per questa pagina di Vangelo, era già pronto un simbolo: un Gesù in ginocchio nell’orto degli ulivi. Col quale si sarebbe rimasti in tema, parlando della preghiera ma bypassando la parabola (che invece ha un valore). Finché è spuntata l’incisione di un pittore inglese, che ha il merito di farci fermare su un racconto scarsamente citato.
Dopo aver insegnato come pregare («Quando pregate, dite…»), Gesù raccomanda di farlo con invadenza, senza paura di disturbare, e con fiducia, senza stancarsi. Perché dall’altra parte c’è chi ascolta e non nega mai il dono dello Spirito.
Gesù ricorre alla storia dell’amico importunato, che – come la parabola del giudice infastidito (Lc 18) – ha per protagonista non tanto un personaggio positivo, quanto piuttosto uno che cede per sfinimento. Ed è per questo che sono due parabole in ombra, non troppo amate: al posto dell’eroe, del “buono” da emulare (vedi il samaritano di due domeniche fa), c’è uno che decide di fare una buona azione perché pressato.
Tra l’altro, se nella parabola odierna il personaggio principale – quello che dà i pani – è un amico, nella parabola del giudice è un tipo davvero sgradevole, che non ha timore di nessuno ed è pure disonesto. Ciò che scompone noi, però, non scompone minimamente Gesù, a cui interessa solo impiegare questo meccanismo retorico: «Se persino chi è cattivo sa dare cose buone… a maggior ragione Dio…». Per mostrare, in analogia a un comportamento umano, che, quando Dio fa lo stesso, fa «molto di più».
Presente in entrambe le parabole suddette e utilizzato più volte, nella lettera ai Romani (cap. 5), anche da San Paolo, tale procedimento non ha grande successo tra noi. Allo stesso modo, ci serviamo raramente di immagini forti e “brutte” (come quella del giudice). Pare quasi di far peccato a usarle, mentre Gesù – che ci insegna pure a comunicare – non le teme ed è spigliato nell’utilizzo di parole e figure, pur di farle giungere a destinazione. Osiamo immaginare che gli scapperebbe un sorriso, dopo aver letto il titolo politically correct della parabola “dell’amico importunato” (a cui lui avrebbe dato ben altro titolo…).
Consideriamo quanto è originale il modo inventato da Gesù per spingerci a pregare. È come se, dopo tante chiamate, fosse lui a dire: «Chiamami tu. Guarda che non mi scomodi. Che ho bisogno della tua amicizia. Non dimenticarmi». Ricordando, insieme, la sana fretta che mette Isaia: «Cercate il Signore, mentre si fa trovare, invocatelo, mentre è vicino» (55,6).