I beni vanno usati per il bene

«I figli di questo mondo… verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce»
18 Settembre 2016

XXV domenica del tempo ordinario: Lc 16,1-13

IL DONO DI SAN NICOLA (1278-1280, Roma, Chiesa di San Lorenzo in Palatio ad Sancta Sanctorum)

 

Ancora una volta è in primo piano la ricchezza, con i suoi pericoli, in una parabola che insegna a usarla con furbizia.

Temendo d’essere cacciato per i suoi sprechi e non sapendo come sopravvivere, un amministratore ha l’idea di convocare i debitori del padrone, per offrire loro uno sconto. Lo fa nella speranza di renderseli amici e d’essere poi accolto – dopo il licenziamento – da uno dei debitori, grato per il favore.

Se la trovata abbia funzionato non sappiamo, però sappiamo da Gesù quanto il padrone l’abbia apprezzata (senza far caso all’infedeltà subita). La strizzata d’occhio diventa un messaggio esplicito: se ci facessimo furbi come l’amministratore, sapremmo che cosa fare dei nostri averi, pur di farci accogliere «nelle dimore eterne». Il consiglio di «farsi amici con la ricchezza disonesta», secondo molti commentatori, potrebbe voler dire: «Utilizzate i vostri beni per fare del bene».

L’opera d’arte mostra che può esserci ingegno anche nel donare. Si tratta di uno dei momenti più celebri della vita di San Nicola, citato persino da Dante (nel canto XX del Purgatorio) e amato da decine di pittori (Ambrogio Lorenzetti, Gentile da Fabriano, il Beato Angelico ecc.): ossia quando il santo si scontra col dramma di tre ragazze, impossibilitate a maritarsi perché prive di dote. Il loro padre pensa di risolvere il problema inducendole a prostituirsi. E, per scongiurare che ciò avvenga, Nicola – che è di famiglia benestante – cala un fagottino pieno di monete d’oro da una finestra della loro casa: gesto che fa tre volte, in tempi diversi, consentendo ogni volta un matrimonio, finché, all’ultima donazione, viene visto dal padre delle ragazze e si fa promettere di non dire nulla a nessuno.

Per comodità degli illustratori, il fagottino è poi diventato una palla d’oro. E se, in un’immaginetta, vediamo un vescovo con una Bibbia sovrastata da tre palle d’oro, è di certo San Nicola.

L’episodio è interessante per più di una ragione. Intanto perché l’inciampo della storia è un problema morale serio, risolto da San Nicola non con un miracolo ma coi propri beni. In secondo luogo, per la popolarità della storia, che è stata capace di generarne un’altra, quella di San Nikolaus (o Claus): cioè del vescovo che – attorno a Natale – porta doni ai ragazzi quando dormono, senza farsi vedere (a Trieste succede il 6 dicembre, nel giorno della sua festa).

Infine, una nota amara. Nonostante abbiamo raccontato questa storia per secoli, a poco a poco l’abbiamo lasciata spegnere. Così un pezzo grosso, visto che era abbandonata, l’ha raccolta, l’ha ridisegnata un po’ meglio levando qualche particolare di disturbo (ad es. gli abiti vescovili) e ha trasformato il santo in Babbo Natale, un simpatico vecchietto distributore di regali.

Se l’amministratore della parabola non era fedele ma almeno era furbo, noi – verso questa bella storia – siamo stati infedeli. E pure fessi a farcela rubare.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

I commenti devono essere compresi tra i 60 e i 1000 caratteri. I commenti sono sottoposti a moderazione da parte della redazione che si riserva la facoltà di non pubblicare o rimuovere commenti che utilizzano un linguaggio offensivo, denigratorio o che sono assimilabili a SPAM.

Ho letto la privacy policy e accetto il trattamento dei miei dati personali (GDPR n. 679/2016)