Farsi carico del Signore

«Beati voi, quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli»
1 Novembre 2016

Tutti i Santi: Mt 5,1-12a

SAN CRISTOFORO, CON SAN ROCCO E SAN SEBASTIANO (Lorenzo Lotto, 1532-33, Loreto, Museo Antico Tesoro della Santa Casa)

 

Facciamo fatica a riconoscerli, i santi. È per questo che, sugli altari delle nostre chiese, gli artisti fissano un loro tratto distintivo, il più spettacolare. Così S. Sebastiano è sempre trafitto da frecce (anche se non morì a causa loro), Santa Caterina d’Alessandria è posta accanto a una ruota dentata, S. Pietro da Verona ha un coltello conficcato in testa, S. Rocco mostra sulla coscia il bubbone della peste, Santa Lucia tiene in mano un piattino con due occhi, Sant’Agata i seni recisi, S. Bartolomeo la pelle di cui fu scuoiato, ecc.

E poiché il destino dei santi è d’essere irrisi non solo in vita, c’è chi – come il commediografo Alan Bennett – annota gongolante: «Il fatto che i santi non possano mai separarsi dagli strumenti del loro martirio e se li debbano portare appresso in ogni quadro è il sintomo di una grave insicurezza relazionale».

Invece è proprio una relazione, quella messa in evidenza dalle opere d’arte: perché i santi – come il S. Cristoforo del quadro del Lotto – si sono rapportati a Gesù facendosi carico di lui.

In effetti, qualcosa di ridicolo S. Cristoforo ce l’ha. Anzitutto il gigantismo, conservato nelle rappresentazioni (due su tutte, da andare a vedere: a Gemona, sulla facciata del Duomo, e a Treviso, nella chiesa di S. Nicolò). Poi il protezionismo improbabile, da quando è diventato – a sua insaputa (succede a molti) – patrono degli automobilisti per aver dato un passaggio a Gesù bambino. Intorno a S. Cristoforo sono nate superstizioni incredibili, messe al bando dalla Chiesa da vari secoli, e può pure essere – come sostengono alcuni – che non sia mai esistito. Nondimeno il suo gesto – di issarsi Gesù in spalla – è il più significativo per dire che cosa fa un santo.

Il detto medievale, attribuito a Bernardo di Chartres, secondo cui «siamo come nani sulle spalle di giganti», sarebbe quindi ribaltato, perché il vero gigante è chi sta sopra: è lui a vedere più lontano di noi ed è lui a elevarci a Dio. A conferma di ciò, esistono affreschi della prima metà del XIII secolo, venuti alla luce a Roma venti anni fa, nell’aula gotica dei Santi Quattro Coronati, dove a portare i santi in spalla sono le virtù. Abbigliate come guerriere (con elmo, camaglio e cintura), esse tengono sotto i piedi i vizi e i loro “campioni”, cioè i personaggi storici che li incarnano (da Alessandro Magno a Nerone, da Giuda a Simon Mago). E, contemporaneamente, innalzano santi (alcuni dei quali canonizzati da pochi anni, come S. Francesco e S. Domenico).

Quindi non è vero che i santi non si reggono: se li liberiamo dei pesi di cui li abbiamo caricati, contemplando semplicemente la loro vita e la loro morte nel Signore, sono più che sopportabili. Come Gesù, che di sé disse: «Il mio giogo è dolce e il mio peso leggero» (Mt 11).

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