XVIII domenica del tempo ordinario: Lc 12,13-21
IL RICCO STOLTO (Rembrandt, 1627, Berlino, Gemäldegalerie)
Questa del giovane Rembrandt è una delle rare opere che prova a dare forma alla parabola odierna. Vi si vede un ricco, sommerso di carte e al lume di una candela, concentrato nell’osservazione/adorazione di una moneta.
Ricorda un po’ lo Scrooge del racconto di Dickens e sarebbe fin troppo facile dargli dell’avaro. In realtà, più che questo peccato, è la stupidità il bersaglio di Gesù: da lui viene un monito più illuministico che moralistico, poiché la stoltezza dipende dallo scarso utilizzo dell’intelletto di cui siamo dotati.
Stolto – nel caso in questione – è dipendere dai propri tesori, che, per quanto non siano fatti d’oro e di pietre preziose, sono pur sempre cose a cui si dà grande valore. Stolto è mitizzare la roba (casa, soldi, auto, moto, libri, quadri…) e stolto è passare la vita a desiderarla, a cercarla, ad accumularla.
Un messaggio simile, se vogliamo, ci viene rammentato – anche in forma spiritosa – dai proverbi (ad es. «La cassa da morto non ha tasche»), dai comici (come l’americano Steven Wright: «Non puoi avere tutto. Dove lo metteresti?») e persino dalle scritte murali («Le cose belle della mia vita non sono cose»). Ma, rispetto a tali forme di saggezza, Gesù aggiunge un’osservazione: che chi accumula tesori per sé rischia di non arricchirsi «presso Dio». È lì, «presso Dio», la meta della caccia al tesoro più bella, quella a cui dobbiamo ancora iscriverci.
Dunque, anziché star dietro alle cose, per servirle, è meglio porsi davanti ad esse, da padroni, felici di metterle a disposizione. Tornano in mente le parole scritte da don Maurizio Patriciello, poco più di un mese fa, in morte di un boss mafioso: «Che peccato lo sciupìo di un’intelligenza che non ha saputo farsi cultura, impegno, passione per migliorare se stesso, la Sicilia e l’Italia… Si è spento lentamente. Solo. Senza le coccole che i vecchi ricevono dai loro nipotini. Senza la compagnia dei vecchi amici che richiamano alla memoria i tempi passati. Senza il conforto della coscienza che ti dice: “Hai agito per il bene. Devi esserne orgoglioso. Al di là di quello che la gente pensa o capisce. Hai creduto in Dio, adesso lo vai a godere per l’eternità”» (Avvenire, 14.7.2016).