IV domenica di Avvento: Mt 1,18-24
IL SOGNO DI GIUSEPPE (XI-XII secolo, S. Juan de la Penã, capitello nel chiostro del Monastero antico)
Se è improprio definire annunciazione questa visita, resta tuttavia una comunicazione tra le più belle che si possano dare e ricevere, perché fatta con lo scopo di rincuorare. Tanto che l’artista, per quanto un po’ rude di scalpello, dalla pietra riesce a cavare una carezza.
Doveva essere congeniale a Giuseppe l’ascolto… onirico, se, per altre tre volte, gli angeli lo sarebbero andati a trovare di notte. E doveva essere pure un taciturno, se nemmeno un Vangelo ricorda una frase da lui pronunciata (però a qualcuno, a Maria se non altro, dovrà averle raccontate, le sue visioni, se vengono riferite).
Non v’è certezza che il sogno scolpito sui Pirenei aragonesi, lungo uno dei cammini che portano a Santiago di Compostela, sia il primo dei quattro, benché muro, cuscino e coperta rimandino a una casa (quella di Nazareth), mentre i sogni successivi – dopo la nascita di Gesù – li si immagina avvenuti in situazioni precarie, a Betlemme e in viaggio (per l’Egitto e dall’Egitto).
Il fatto che Giuseppe sia sempre a occhi chiusi o semichiusi, assopito o meditabondo, un po’ lo penalizza, facendolo sembrare un eternamente perplesso. Oppure un bonaccione più che un buono, uno yesman senza carattere e senza parole («È che mi disegnano così», direbbe oggi). Invece lui è capace di scelte coraggiose. Già il fatto di non accusare Maria (potendolo fare) e di non volerla ripudiare in pubblico, significa che la sua giustizia è intrisa di misericordia.
Finito il sogno, anche Giuseppe – verosimilmente a bocca chiusa – dice il suo sì a Dio, esteso a Maria e alla vita che viene da Dio. Decide di fidarsi, facendosi carico di lei e del bambino. Non sarà loquace, Giuseppe, ma dell’angelo deve aver sentito bene sia il messaggio che la carezza.