Sono in ritardo già di 5 minuti, ma stamattina è stata dura alzarsi. La mia tirocinante è già in classe. Mentre salgo le scale penso a come introdurre la fotocopia che vorrei discutere con loro, sul confine tra vita e morte. “Buon giorno ragazzi, scusate il ritardo, ma stamattina è stata dura, settimana pesante di consigli di classe e il sabato lo sento, comincio ad essere vecchio”. Alla mia frase non c’è reazione e comprendo che non è aria. Saluto Deborah, la tirocinante. Li guardo e vedo che forse sono stanchi anche loro o forse qualcosa li turba.
Cerco di alleggerire il clima chiedendo loro della gita. Mi rispondono raccontandomi dove andranno, ma sembra che questa “distrazione” non li sposti. D’improvviso Anna, dal terzo banco a sinistra: “Prof. posso farle una domanda pesante adesso o meglio alla fine della lezione?”. Non ho dubbi sulla scelta, anche perché alla fine dell’ora ho subito un’altra classe. “Meglio adesso Anna”. “Ok, prof. Cosa pensa di Dio davanti ad una donna, madre di due figli piccoli, di 36 anni che muore di tumore in quattro mesi?”
La guardo e avverto netto il suo dolore serio e duro. E’ una di quelle domande serie, forse quasi l’unica che svela sul serio un lato “irrisolvibile” della costruzione dell’immagine di Dio. Guardo Deborah, un leggero sorriso imbarazzato. Ci provo. “Mi dispiace moltissimo Anna, perché immagino che questa domanda ti nasca da una situazione che ti colpisce direttamente, non so quanto vicina a te, ma abbastanza per provocarti dolore.” “Si, prof. Proprio così. Quello che non mi torna è proprio questo: se, come si dice, Dio ci ama e ci vuole felici, come è possibile che nella sua onnipotenza non faccia nulla per evitare queste cose? Se non fa nulla, e lo potrebbe fare, è come se lui fosse colpevole di quel male. Io, a un Dio così, non ci credo.”
Mi attraversa la mente la copertina dell’ultimo libro di P. Curtaz “L’ultimo sì”. “Hai ragione Anna, nemmeno io credo ad un Dio così. E se ci fosse, andrebbe cancellato. Credo invece che di fronte a questo dolore, Dio soffra assieme a te, ai quei due bambini e a chi amava questa donna, e faccia di tutto per sostenere queste persone per poter attraversare questa sofferenza senza perdere la loro umanità”. “Si, ma questo non mi basta perché Lui non fa nulla per evitarlo? Se è Dio…”
“Eh, questa è la domanda delle domande. Ho una mia risposta, ma prima vorrei chiederti una cosa. Se ammettiamo che Dio non esiste, quel dolore cambia?” “Si, prof. cambia, perché almeno potrei ammettere che la vita è fatta così e che non è colpa di nessuno”. “Quindi preferisci immaginare che il dolore sia parte della natura dell’uomo e della vita “da principio”, cioè come se ne fosse un elemento costitutivo?”. “Si, mi sarebbe più facile accettare che dobbiamo farci i conti, perché non sarebbe colpa di nessuno”.
Intanto sono arrivati due studenti ritardatari. Stupiti e spaesati, rispetto alla discussione, si siedono. La classe è ammutolita, non si muove una mosca. “Capisco Anna. Ti posso solo dire che anche io mi sono posto la stessa domanda in una fase dolorosa della mia vita, ma sono arrivato ad una risposta diversa. Non mi torna per nulla, che il dolore sia costitutivo della vita. Forse un Buddhista potrebbe accettarlo. Ma io non ci riesco, perché sento che se accetto questo dovrei accettare anche che la vita abbia un “tarlo”, un errore di costruzione e che quindi non possa mai raggiungere la pienezza che invece vorrei fortemente. E se ci pensi bene, anche tu senti così tanto quel dolore proprio perché avverti che essere vivi dovrebbe avere una sua pienezza in cui il dolore non ci sia più. E invece questa esperienza ti suggerisce il contrario. Io sento che se uccido Dio, non ne ammetto l’esistenza, devo anche uccidere questo desiderio di pienezza che invece non riesco a sopprimere dentro di me”.
“E’ vero prof. Ma allora perché Dio non fa nulla per evitarci di soffrire?”. “Ecco, appunto Anna, io credo che quello che può fare lo faccia: condivide la nostra sofferenza fino a morire insieme a noi”. “Non mi basta, non mi basta, perché comunque quel male lo vivo io mica Lui. Non mi interessa che Lui condivida questo, se potrebbe evitarmelo e non lo fa”. “Forse, Anna, dovremmo pensare che Lui non lo può evitare, perché ha deciso di rispettare pazzescamente la nostra libertà tanto da non venire a “correggere” gli effetti delle nostre scelte che producono danni. Io continuo a pensare che il male non sia frutto di Dio, né tantomeno della natura delle cose, ma delle, scelte dell’uomo, che essendo libero può anche decidere di fare cose dannose per sé e per gli altri. Certo, mi resta impossibile ora comprendere tutti i passaggi che portano dalla scelta umana al tumore di quella donna, ma nella tua idea non salviamo né Dio, né la libertà dell’uomo. In fondo la tua richiesta è come chiedere a Dio che ci tolga la nostra libertà quando sbagliamo”.
Si tace. La guardo e vedo i suoi pensieri muoversi freneticamente dietro la fronte limpida. Un attimo lunghissimo e silente riempie l’aula e sospende il respiro. “Ma è così potente e importante la nostra libertà?” “Si, Anna, forse noi non ci rendiamo davvero conto del potere e del valore di essere liberi”.