Gli auguri di Geremia

L'augurio è di avere più coraggio nell'affidarci alla forza dello spirito e meno alle sicurezze, di ogni tipo, che fino qui ci hanno tenuto in piedi come Chiesa.
5 Gennaio 2012

Tra gli auguri di capodanno ho ricevuto con piacere una mail da un amico. Mi racconta della sua gioia di essere prete e di confermare giorno dopo giorno la sua scelta. Di questi tempi fa piacere al cuore sapere che qualcuno ha scelto la Verità e con fedeltà ci prova a viverla quotidianamente. E tra gli auguri che formula alla Chiesa per il 2012, spiccano alcune considerazioni sulle condizioni in cui essa oggi vive.

Dal suo punto di vista, la stagione che stiamo attraversando è davvero difficile. Dai casi di cronaca in cui uomini di Chiesa mostrano una testimonianza “davvero incredibile”, nel senso etimologico del termine, alle difficoltà che la comunità ecclesiale trova nell’essere “sale della terra e luce del mondo”. Dall’immagine sempre più “sporcata” che la Chiesa si ritrova addosso per una campagna di disinformazione evidente, agli attacchi ai cristiani, ancora purtroppo di terribile attualità. 

Ma poi si concentra su ciò che dentro la Chiesa fatica ad essere vivo e vitale, e qui davvero l’elenco della sua mail si fa lungo. Ma mi colpisce soprattutto l’elenco delle cose che, secondo lui, sanno e ancora tanto, di vangelo. Ed è questo che mi piace riportare: giovani che, stanchi di un mondo fatto solo di immagine, ritrovano la voglia di tornare a cercare l’anima, la loro, e quella di una Chiesa che li accolga nella loro ricerca. Coppie che fanno della forza del sacramento celebrato davanti a Dio, la base per ricucire fatiche e tradimenti, e trovano un modo sincero, anche con fatica e dolore, per ritrovarsi ancora a dirsi di sì.  Uomini che dopo anni di droga, attraverso comunità terapeutiche accettano il loro Aids, come un modo per amare misteriosamente, in Cristo, persone che non conosceranno mai. Intere comunità che si accollano fatiche economiche diffuse, e inconfessabili fino a qualche anno fa, di famiglie che fanno fatica ad arrivare alla fine del mese. Madri single che spinte dalla fede semplice e potente dei loro figli, riaprono un cassetto dello spirito, di cui avevano dimenticato la chiave.

E allora davvero sento che la nostra fede non è morta, che l’amore che Dio ci ha regalato continua a produrre frutti, magari nascosti o poco percepibili, ma estremamente quotidiani e concreti. Che la speranza che portiamo dentro ha ancora molto da dire a questo tempo e a questo mondo. Così, dopo aver ringraziato di cuore il mio amico prete, mi fermo a riflettere sugli auguri che io farei alla Chiesa, quindi a tutti noi, per il 2012. 

Vorrei che in questo “spaesamento collettivo” ci fermassimo un istante e ci chiedessimo: “Ma qual è la cosa più importante di tutte per Gesù? Quella su cui concentrarsi e a cui dedicare le nostre energie? A partire dalla quale si può ancora trovare un filo per capire e dare senso a quello stiamo vivendo? Mi è passato sotto mano in questi giorni, per questioni di lavoro, il libro di Geremia. “Poiché dice il Signore: Ecco questa volta caccerò lontano gli abitanti del paese, li ridurrò alle strette, perché mi ritrovino (10,18)”. Ecco la cosa più importante per me sta in questo verbo: ritrovarlo. E sempre Geremia suggerisce due concreti auguri per ritrovarlo.

  1. Il primo è quello di essere essenziali. Tra chi si gloria di una Chiesa sicura e ben distinta dagli altri e chi si lamenta di una Chiesa poco aperta e generosa, “essere ridotti alle strette” ci obbliga a rimettere in fila il valore delle cose, e a ridirci cosa vale di più, come Chiesa. “Chi si vuol gloriare si glori di questo: di avere senno e di conoscere me, perché io sono il Signore che agisce con misericordia, con diritto e con giustizia” (9,23). E allora vale di più avere una Chiesa socialmente forte, che “pesa” culturalmente, anche a costo di accettare compromessi col Vangelo, o quella invisibile e quotidiana di chi ama come Gesù e contagia senza volerlo altre persone? Vale di più aver speso due ore ad ascoltare qualcuno che ci chiede attenzione o l’incontro solito di formazione in cui ci ridiciamo per l’ennesima volta le stesse cose? Vale di più che la liturgia sia celebrata in una certa lingua o in un altra, o la nostra partecipazione sincera dove siamo disposti a lasciarci un po’ cambiare da quel che si celebra?
  2. Il secondo nasce proprio da lì, la disponibilità a lasciarci rinnovare. “Lo so, Signore, che l’uomo non è padrone della sua via, non è in potere di chi cammina il dirigere i suoi passi” (10,23). Si può accettare di navigare a vista, lasciando cadere le strade che ormai non portano da nessuna parte. Oggi non è tempo di “conservare e mantenere”. Oggi ci è chiesto il coraggio di lasciarci cambiare, di lasciarci portare dove lo spirito ci chiama. Come Geremia che si sente troppo giovane e non all’altezza della vocazione. E Dio gli dice: “Non temere, perché io sono con te per proteggerti” (1,8) E allora l’augurio è di avere più coraggio nell’affidarci alla forza dello spirito e meno alle sicurezze, di ogni tipo, che fino qui ci hanno tenuto in piedi come Chiesa. Più coraggio nel credere che il mondo non è scappato alle mani di Dio, per quanto possa sembrare strano. E che, se quello che capita a volte scandalizza la nostra fede, c’è un significato che Dio ci chiede di capire proprio in queste cose.

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