Nell’ora buca del mio sabato mattina, stranamente non ho da fare. E allora, momento di riflessione.
E’ stato un anno strano, duro e pesante per la mia scuola. La nuova dirigenza si è abbattuta su questo istituto come un ciclone. La sua strategia è stata quella tipica degli assolutismi. Terrorizzare tutti, con arroganza e mancanza totale di ascolto, con applicazioni della legge al limite e fuori limite, in modo che nessuna opposizione interna potesse levarsi. Dopodiché, normalizzazione. A colpi di circolari, altrettanto discutibili sul piano legale, faceva e disfava a piacimento. Poi terzo periodo, in cui ancora cerchiamo di stare a galla, dove si presenta come “padre” educativo, per il bene della scuola. Nel giro scolastico della mia città la conoscono già tutti di fama. Per ora le iscrizioni al prossimo anno ci dicono che avremo due classi in meno! La legge prevederebbe il suo pensionamento per età, ma sembra che resterà ancora altri due anni.
La scuola comunque ha uno stomaco di ferro. E’ in grado di digerire tutto. Pur di non spostare un millimetro il suo precario equilibrio, è in grado di farsi scivolare sopra la quarta riforma in circa 15 anni. Berlinguer, Moratti, Gelmini, Renzi. Cambiano i moduli da compilare. Cambiano le parole da utilizzare, Cambiano le forme con cui redigere la programmazione e la relazione finale. Cambiano un po’ i livelli di verifica a cui è sottoposta formalmente.
Ma l’essenziale non cambia, non viene mai spostato. Perché la mentalità dei docenti e dei dirigenti non si cambia per legge. Il tecnocrate, il despota, il remissivo, il turista, il galleggiante, il tradizionalista, il narcisista, il saltimbanco, il “mammone”, il resistente, il burocrate, il volontario, continuano a salire in cattedra e a dirigere istituti. Ma se allargo lo sguardo non mi stupisce. La scuola è lo specchio moltiplicatore della società. Sia nel bene che nel male.
E nel rapporto sull’educazione, appena pubblicato dall’OCSE, c’è una vergognosa verità: l’Italia è il penultimo paese per investimento in istruzione. Siamo al 4,9% del PIL, mentre la media OCSE è del 6,2%. E ancora un volta la riforma che si appresta ad essere votata in senato è gestita da criteri economici e funzionali al mantenimento del sistema (al di là delle apparenze), e non sa nemmeno da che parte stia la dimensione educativa. In questo quadro, a noi insegnanti viene ancora chiesto di educare. Ci sarebbe da mettersi a ridere, se non fosse terribilmente reale.
Dicembre 2013. Consiglio straordinario di una classe prima, in cui era stata richiesta la presenza dei genitori, per discutere di un comportamento incredibile dei ragazzi stessi. Si presentano 6 genitori su 22. Un’ora di ramanzina del dirigente. Tutto a richiamare principi educativi ed etici. All’uscita, davanti a me, il padre di uno dei ragazzi più invischiati nel casino della classe mette una mano sulle spalle di suo figlio e gli dice: “Non ti preoccupare, tanto nella vita quel che conta è sapersi vendere”. E ovviamente noi, come docenti, non abbiamo deciso nulla sul piano operativo. E alla fine ne abbiamo bocciati il 34%. Il quel consiglio mi ero provato a dire che noi docenti avremmo dovuto chiederci come modificare qualcosa per relazionarci con quella classe. Sono stato redarguito da due miei colleghi perché “queste cose non servono, sono solo una perdita di tempo”.
A maggio scorso la Chiesa italiana aveva annunciato il desiderio di cominciare sul serio a prendersi carico della scuola nel suo complesso, non più solo di quella privata. A distanza di un anno dal quell’incontro a Roma, con Papa Francesco, non mi sembra ci siano stati segnali o annunci di qualche genere, perché quella intenzione potesse prendere corpo.
Ma forse è giusto così. Siamo una periferia. Che in Italia conta quasi zero. E come tale, ci dobbiamo arrangiare. Sono 30 anni che lo facciamo. E siamo sopravvissuti. Per me questa è una delle prove più evidenti dell’esistenza dello Spirito Santo. Perciò continuerò a cercare di far sopravvivere una scuola che vuole educare. Finché Omar, musulmano, che non fa religione, mi dice: “prof. posso parlarle, ho un po’ di casini in questo periodo”. Finché In corridoio Alice, mi sorprende da dietro accarezzandomi la testa, e io fingo di risentirmi, perché possiamo restare nei ruoli, ma riconoscerci comunque come persone intere. Finché Arianna, mentre entro in classe, mi assale: “No, prof, ho studiato ieri, ma non so nulla, non mi interroghi, la prego”. Finché la mia collega di italiano mi dice: “Sai che la quinta ha capito subito l’idea del capro espiatorio. E mi hanno detto era già venuto fuori nella tua ora”. Finché Eleonora e Melissa, due primine nuove che si prenderanno “ottimo” in pagella mi dicono: “ma noi non avevamo mai fatto religione!”.
Finché questa loro umanità potrà uscire così ed essere incontrata, la scuola sopravvivrà.