Volti romani del beato Giovanni Paolo II

Si è parlato molto della statua di Wojtyla davanti alla Stazione Termini. Ma qualche parola (positiva) la meriterebbe anche l’immagine di piazza San Pietro
13 Giugno 2011

CHE FIGURA!

 

La statua di Giovanni Paolo II, da poco collocata fuori della Stazione Termini, a Roma, fa molto parlare di sé. A tutto assomiglia anziché a Papa Wojtyla e, per la sua forma bizzarra, provoca associazioni di idee strampalate: da una garitta a un vespasiano, da una botte a un pipistrello. Un destino simile a quello dell’Altare della Patria, accostato talvolta a una macchina per scrivere, talaltra a una bomboniera, a una torta nuziale e persino a un castello bianco. È forte la tentazione di schierarsi fra i detrattori, tutti a spada tratta come i difensori. Ma non ci interessa ingrossare le fila dell’uno o dell’altro partito, tanto più per il fatto che le sculture non si dovrebbero valutare come le canzoni di San Remo.

Vale però la pena ricordare che tra le leggi non scritte della comunicazione ve n’è una preziosa, formulata nel 1987 da Umberto Eco, quando venne richiesto di illuminare i giurati del concorso per il nuovo emblema della Repubblica italiana. Eco suggerì che, oltre ai requisiti “classici”, il logo dovesse avere capacità di resistenza alla satira. Sarebbe bastato passare ai raggi X di questa regoletta il nuovo monumento per capire che non avrebbe retto.

Vorremmo invece spostare l’attenzione su un’altra installazione generata dalla beatificazione di Giovanni Paolo II. Si trova in piazza San Pietro, non si tratta di un’opera d’arte permanente ma di una fotografia del pontefice scomparso. È un’immagine di dimensioni esagerate, più alta dello stesso colonnato. Non un volto inespressivo e metafisico, ma umanissimo: stanco, spettinato, cotto dal sole, assorto a contemplare il Crocifisso davanti a sé e il mondo attraverso il Crocifisso. Uno sguardo teso, quasi drammatico, ideale per rappresentare un Papa che nella storia non è stato una comparsa.

La scelta è coraggiosa, per diversi motivi. Anzitutto perché, con una fotografia, si usa un linguaggio moderno. In secondo luogo, perché è questa fotografia. In un contesto dove di solito, se una foto appare, è in posa, dunque costruita. Mentre questa è un’immagine non controllata, dove la realtà è lasciata libera. In terzo luogo, perché non si può negare che sia una bella foto, capace di registrare un momento di rara intensità. Infine, perché è una foto enorme, a significare la statura gigantesca della persona inquadrata. Che, paradossalmente, parve un omino a chi era in piazza il 16 ottobre 1978, la sera dell’«Habemus Papam».

Accanto alla foto, un’altra scelta originale: quella di inserire una scritta, anch’essa smisurata, con l’espressione-simbolo di Giovanni Paolo II, «Spalancate le porte a Cristo». Dal punto di vista estetico, meno felice della foto del Papa ma in linea con il suo modo ruspante, non abbottonato, di comunicare: basta vedere il crocifisso del suo pastorale o la M del suo stemma pontificio per indicare Maria.

Una bella figura, quindi, quella di piazza San Pietro, rispetto alla figura da cioccolatai di piazza dei Cinquecento. Quello che conta è la sostanza? No, non siamo cioccolatai, conta anche la forma. E se ai cioccolatai si possono concedere figure approssimative, perché fatte di cioccolata, è giusto essere più esigenti con chi maneggia i soldi per pagare una statua. Anche se la regala.

 

 

 

 

 

 

 

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