Tradizione e Democrazia in stile sinodale

Papa Francesco continua ad approfondire, alla luce del cammino sinodale, i temi della Tradizione e - soprattutto - del rapporto tra Chiesa e Democrazia...
7 Gennaio 2022

Il viaggio del Papa a Cipro e in Grecia, oltre ad aver mostrato quante perle possono crescere nel dialogo anche conflittuale, ha toccato alcuni nodi della «dimensione sinodale» (come l’evangelizzazione, la democrazia, il potere gerarchico, le strutture) relativi a questioni pastorali decisive che, come Chiesa, ci trasciniamo dietro ormai da anni. Dopo essermi qui soffermato sul nodo dell’evangelizzazione, affronterò ora quelli legati alla t/Tradizione e alla democrazia.

 

– la dinamicità (ecumenica) della Tradizione

Proprio per l’osmosi tra vangelo e cultura (grazia e natura), evidenziata in conclusione del precedente contributo, nel discorso al Santo Sinodo della Chiesa Ortodossa di Cipro Papa Francesco ci ha esortato con forza a non permettere che «le tradizioni, al plurale e con la “t” minuscola, tendano a prevalere sulla Tradizione, al singolare e con la “T” maiuscola». A volte, ricorda Andrea Grillo, «confondiamo la tradizione ecclesiale con le forme tridentine o ottocentesche», per cui «ci sono cose della tradizione che è bene che muoiano perché la tradizione continui». Possiamo e dobbiamo avere «il coraggio di spogliarci di ciò che, pur prezioso, è terreno» – insiste il vescovo di Roma – così da sottrarci «al rischio di assolutizzare certi usi e abitudini, non essenziali per vivere la fede», ma anzi pericolosi perché potenzialmente veicolo di atteggiamenti escludenti o violenti.

Non procedere in tal senso – ossia non camminare guidati dalla luce di una “tradizione dinamica” – comporterebbe infatti il rischio (già segnalato) di veder replicato in ogni dove e in ogni tempo dell’orbe cristiano, ma anche cattolico, quanto il Papa ha amaramente riconosciuto: «Quante volte nella storia tra cristiani ci siamo preoccupati di opporci agli altri [e] abbiamo ingigantito e diffuso pregiudizi sugli altri … Non mancano anche oggi falsità e inganni che il passato ci mette davanti e che ostacolano il cammino [e] ci hanno fatto assimilare, anche involontariamente, non pochi pregiudizi ostili nei riguardi degli altri, preconcetti basati spesso su informazioni scarse e distorte, divulgate da una letteratura aggressiva e polemica».

Tale è l’importanza della questione che similmente – e forse in modo ancora più incisivo – Papa Francesco ha parlato all’Arcivescovado Ortodosso greco. Da un lato, riconoscendo la causa delle «relazioni ferite» negli «errori commessi da tanti cattolici» («azioni e scelte che poco o niente hanno a che vedere con Gesù e con il Vangelo, improntate piuttosto a sete di guadagno e di potere»); dall’altro lato, confidando nei «tesori di grazia che riscopriremo nei fratelli», in coloro che simboleggiano per primi «l’alterità». Perché, se è sempre presente il rischio che «le tradizioni proprie e le specificità di ciascuno [possano] arroccarsi e a prendere le distanze dagli altri» (finendo per «restare paralizzati dalle negatività e dai pregiudizi di un tempo», dai «veleni mondani» e dalla «zizzania del sospetto»), è altrettanto vero che grazie alle «radici comuni» («sotterranee, nascoste, spesso trascurate»), e «nonostante le storture del tempo, la pianta di Dio cresce e porta frutti nello stesso Spirito. Ed è una grazia riconoscere gli uni i frutti degli altri e ringraziare il Signore insieme per questo». Se ciò vale per le relazioni ad extra della Chiesa Cattolica, tanto di più deve valere per quelle ad intra

 

 – il rapporto (ineludibile?) tra Sinodo e Democrazia

Questa attenzione ed apertura alla grazia dell’altro – di tutti gli altri – potrebbe spiegare perché Francesco, nel discorso alle autorità greche, evidenzi alcuni aspetti decisivi della democrazia che – a prescindere dalle intenzioni del Papa – riguardano anche la sinodalità: «oggi si registra un arretramento della democrazia. Essa richiede la partecipazione e il coinvolgimento di tutti e dunque domanda fatica e pazienza. È complessa … è un’esigenza fondamentale (…) perché risponde a quello che siamo: esseri sociali, irripetibili e al tempo stesso interdipendenti». Se la democrazia – come partecipazione di tutti – è collegata all’essenza (unica e relazionale) dell’essere umano, è poi difficile poterla negarla all’interno della vita e delle strutture ecclesiali, se non negando un’antropologia comune.

Anche qui, se Savagnone parla della democrazia e dei diritti umani come «grandi conquiste a livello spirituale» (nonostante le loro «ombre»), Grillo ricorda che una Chiesa veramente sinodale è quella che «si lascia insegnare dai mondi della democrazia»: «qualcosa dal parlamento abbiamo imparato, nel senso che quel consenso lì è fondamentale non per prendere le decisioni in senso assoluto, ma per capire come stanno le cose», per cui «il punto di equilibrio è accettare che le norme fondamentali della vita della Chiesa abbiano qualcosa da imparare dallo sviluppo delle forme istituzionali moderne».

È dunque più sensato ed aderente al dato reale pensare che slogan ecclesiali come “la Chiesa non è una democrazia” o “il Sinodo non è un Parlamento” siano legate allo «scetticismo nei confronti della democrazia provocato dalla distanza delle istituzioni» e alle «polarizzazioni che animano la democrazia ma rischiano di esasperarla». Distanza e polarizzazioni che sono, in realtà, tutte caricature della vera democrazia, oltre ad essere molto simili a quegli atteggiamenti ecclesiali di autoreferenzialità, clericalismo e mondanità spirituale che stigmatizza anche il Papa quando ci esorta «a passare dal parteggiare al partecipare (…) per la promozione di tutti», all’«essere solidali, in particolare nei riguardi di quanti non appartengono al proprio popolo».  Come la vera Chiesa è altra cosa da quelle che il vescovo di Roma chiama le “perversioni” di essa, così la vera Democrazia non può che essere altra cosa dalle sue “caricature”  (o “pecche” come le chiama Grillo) – e solo in quanto tale (si auspica) temuta e rifiutata dalla Chiesa.

Interessante, in tal senso, è il fatto che, per Papa Francesco, «partire dalla realtà piuttosto che parteggiare sulle idee», «mettere la realtà dell’uomo prima delle idee e delle ideologie» comporta «grandezza di visione», «dilatare lo sguardo, immergerlo nei problemi complessi», «accompagnare i processi dal di dentro, per superare le ghettizzazioni e favorire una lenta e indispensabile integrazione, per accogliere in modo fraterno e responsabile le culture e le tradizioni altrui». Questo significa una certa vicinanza da parte di Francesco – anche qui non sappiamo quanto intenzionale – alla convinzione che sia necessario evitare ogni riduzionismo procedurale della democrazia, a favore dell’elaborazione di «una visione d’insieme», di una «passione per l’insieme, che ci conduca – cattolici, ortodossi, fratelli e sorelle di altri credo, anche fratelli agnostici, tutti – ad ascoltarci reciprocamente, a sognare e lavorare insieme, a coltivare la “mistica” della fraternità (EG, 87)». Credo che tanto basti per non dichiarare chiusa la questione dei rapporti tra democrazia e sinodalità…

 

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

I commenti devono essere compresi tra i 60 e i 1000 caratteri. I commenti sono sottoposti a moderazione da parte della redazione che si riserva la facoltà di non pubblicare o rimuovere commenti che utilizzano un linguaggio offensivo, denigratorio o che sono assimilabili a SPAM.

Ho letto la privacy policy e accetto il trattamento dei miei dati personali (GDPR n. 679/2016)