Su sessualità e matrimonio si rischia di far parti uguali tra diseguali?

Come incide a livello ecclesiale trovarsi in un contesto in cui la maggior parte dei giovani prima dei 30 anni non ha la possibilità di uscire di casa? Una riflessione a partire dai dati Eurostat.
6 Ottobre 2020

“Non c’è ingiustizia più grande che far parti uguali tra disuguali”: è una delle frasi più celebri di don Milani.

Mi è tornata in mente l’altro giorno leggendo sul Corriere i dati Eurostat riguardanti l’età media nella quale i giovani escono dal proprio nucleo familiare nei diversi paesi europei. Non ero a conoscenza di quanto sia marcata la differenza da questo punto di vista tra paesi così vicini (e posso solo immaginare il contrasto che emergerebbe allargando l’indagine): il dato mi ha davvero impressionato. Si va dai 17,8 anni della Svezia, ai 33,1 anni del Montenegro. L’Italia ha una media di 30,1 anni.

Come sottolineano diverse analisi, queste differenze, oltre che dal contesto culturale, sono motivate dalle diverse politiche di welfare messe in campo e dalle differenti opportunità per i giovani sul mercato del lavoro. Mi ha colpito però che da parte di media e commentatori cattolici – ho trovato sul sito di Famiglia Cristiana un’intervista sul tema a don Michele Falabretti, responsabile della Pastorale giovanile della CEI; ho visto il servizio andato in onda su TV2000 – ci si sia limitati a sottolineare questi aspetti sociologici e politici, e non sia emerso invece un punto di vista più prettamente ecclesiale di fronte a questi dati.

Le domande che hanno suscitato in me sono: come incide a livello ecclesiale trovarsi in un contesto in cui la maggior parte dei giovani prima dei 30 anni non ha la possibilità di uscire di casa per dar vita a una famiglia propria? È ininfluente – sulle prassi, sui percorsi di accompagnamento, oso, sulla dottrina – che ci si trovi in un contesto in cui si esce di casa a 18 anni o a 30? Le peculiarità di ciascuna situazione non chiederebbero un discernimento specifico, per non cadere nel rischio di pretendere di far parti uguali tra diseguali?

Accogliere interrogativi di questo tipo significa entrare in una prospettiva che, accanto alle prassi consolidate e alla verità dottrinale, lasci spazio al vissuto umano concreto. Facciamo una gran fatica ad assumere questo punto di vista, perché ogni volta che proviamo anche solo ad ipotizzare un compromesso tra verità e realtà, ci sembra di sminuire la prima intaccandone perfezione e coerenza. Per questo, salvo qualche pioniere che rimane però isolato, siamo per lo più portati a scegliere di sacrificare la contingenza sull’altare della teoria immutabile, e di fronte a situazioni in cui evidentemente la realtà cozza con l’ideale, preferiamo sempre assumere il ruolo di chi con misericordia accoglie il trasgressore, piuttosto che lavorare per ridurre il peso che grava sulle spalle delle persone.

Moltissimi esempi si potrebbero portare. Ne scelgo due che hanno direttamente a che fare con il tema dell’allungamento dei tempi di permanenza in casa dei figli. Il primo riguarda i corsi prematrimoniali. Chi li conduce o li ha frequentati sa che la tipologia di coppie che viene a chiedere il matrimonio, proprio per il contesto sociale in cui ci troviamo, è oggi quanto mai varia, e la “normalità” cui ci si vorrebbe poter rivolgere – coppia di fidanzati vergini e non conviventi – è divenuta quanto mai l’eccezione. Mi chiedo, come ci rapportiamo con questa complessità? Ci accontentiamo di mostrarci misericordiosi nell’accogliere “nonostante tutto…” o cerchiamo di lasciarci interrogare dalle diverse situazioni che incontriamo? Dove poniamo l’accento? Sulla verità dottrinale – continuando quindi a proporre indipendentemente a tutti lo stesso corso, essendo il Sacramento uguale per tutti – o sui vissuti concreti delle persone, ipotizzando magari percorsi di accompagnamento differenti, come differenti sono i significati e le incidenze del medesimo Sacramento a seconda che suggelli l’unione tra una coppia di ventenni o una con qualche decennio in più, magari già convivente e con figli? Il rischio evidentemente resta quello di far parti uguali tra disuguali, a volte senza nemmeno esserne consapevoli.

Il secondo esempio è più prettamente dottrinale. Il Catechismo della Chiesa Cattolica è chiarissimo nell’inserire tra le “offese alla castità”, “l’unione carnale tra un uomo e una donna liberi, al di fuori del matrimonio” giudicandola “gravemente contraria alla dignità delle persone e della sessualità umana naturalmente ordinata sia al bene degli sposi, sia alla generazione e all’educazione dei figli” (CCC 2353). Senza voler discutere il legame tra sessualità e matrimonio mi chiedo: alla luce delle differenze sociali di cui sopra, un giudizio così lapidario, espresso in modo del tutto astorico, ossia senza prendere in considerazione minimamente l’esistenza di contesti differenti tra loro, non pone qualche interrogativo? Tanto più dal momento che si fa riferimento alla “sessualità umana naturalmente ordinata”: da questo punto di vista mi pare rappresenti una svista non indifferente non considerare come lo spostamento in avanti dell’età degli sposi significhi anche uno sfasamento rispetto ai tempi biologici del desiderio e della fertilità umana. Certo, per noi credenti la sessualità e la generazione non sono solo biologia e sociologia, vi sono dei significati teologici e sacramentali che vanno preservati. Così come è altrettanto indiscutibile che la problematica dell’accesso dei giovani al matrimonio cristiano sia molto più ampia e non circoscrivibile al tema dell’allungamento del tempo della giovinezza e della coabitazione coi genitori. Tuttavia mi pare imprescindibile, al netto di tutto questo, insistere sulla necessità di dar rilievo oggi nella Chiesa, accanto alla dottrina, alle contingenze reali della vita.

Se si vuole evitare l’ingiustizia di far parti uguali tra diseguali ci è chiesto di provare a unire la verità alla creatività, immaginando modalità praticabili attraverso le quali il Vangelo di Gesù possa trovare ancora oggi carne viva da trasfigurare. Nella consapevolezza che se questo sforzo non verrà fatto da noi a monte, sarà compiuto con meno sforzo da altri a valle: se la dottrina rimarrà qualcosa di distante dalle possibilità concrete della vita, semplicemente si sceglierà di fare a meno di parte di essa o, peggio, dell’intera prospettiva cristiana. A occhio e croce è esattamente quello che sta diffusamente accadendo.

9 risposte a “Su sessualità e matrimonio si rischia di far parti uguali tra diseguali?”

  1. Teresa Benedini ha detto:

    Mi viene la pelle d’oca solo leggere questo articolo e i commenti… Io non mi chiedo se fare sesso fuori dal matrimonio ( ??? ) sia bene o male . Piuttosto mi chiedo se fare sesso in senso lato sia dettato dall’amore o no. A mio avviso diceva molto bene Ermanno Olmi ” …fare l’amore è peccato solo se non c’è amore “. Dentro o fuori dal matrimonio ( quanti casti dovrebbero esserci oggi visto che quasi nessuno si sposa…) , è fondamentale educare i giovani al rispetto dell’altro , sempre ! Il catechismo della Chiesa spero si aggiorni …..Comunque abbiamo sempre il Vangelo !!!

  2. giuseppe Risi ha detto:

    Convengo con l’articolista che quello della morale sessuale e della sessualità è un problema enorme per la religione cattolica e per i (poveri!) cattolici. Prima del matrimonio (quindi mediamente in Italia ben oltre i 30 anni, che si riferisce solo all’uscita di casa) non possono avere rapporti (almeno completi… ma fino a che punto?) perché la Chiesa sessuofobica ha deciso di interpretare in tal senso non so quale passo delle scritture. Dopo il matrimonio continuano a non poterlo fare con una minima serenità, salvo accettare il rischio concreto di allargare la famiglia, perché non sono mai comunque ammessi i metodi anticoncezionali normali (non mi si parli per favore di metodi naturali, che è roba da preti!).
    Il tutto in attesa della realizzazione della felicità dell’uomo (solo) nell’al di là?
    E il “centuplo quaggiù”?
    Il sesso libero non sarà certo la felicità, ma nemmeno il sesso vietato!
    GR

  3. BUTTIGLIONE PIETRO ha detto:

    Bello confrontarsi con te, Paola!
    1) prima ancora di dire che Dio è così e cola’, buono o giudice, prima di instaurare una qualsiasi relazione con Lui, bisogna mettere al posto giusto CHI sono io e CHI è Lui. Vedo che molti parlano di ‘sacro’ perso e pensano a riti e paramenti.
    2) Tu riporti la vecchia CC:
    ” così è la verità, e se non ti piace dritto all’inferno..ah ma, volendo…se ti confessi e ti penti, potremmo anche chiudere un occhio..sai la misericordia è infinita…”
    Ed io ti chiedo:
    Davvero il probl sta nella morale? O piuttosto così si usurpa il Suo ruolo?
    Lo si COSTRINGE nei NOSTRI schemi?
    E affondo: con DIO È AMORE non si fa lo stesso??

    • Paola Meneghello ha detto:

      Certo Pietro, non si può ridurre Dio a una morale umana, perché questa cambia, essendo limitata nel tempo e nello spazio e quindi non eterna. La Legge divina esiste, ma non è certo codificabile come quella umana.
      Questa Legge parla, se penso anche a ciò che mi ha detto Gesù, di una storia d’amore tra Dio e la sua creazione, che è libera, perché l’amore si sa non si impone a suon di codicilli, essendo l’imperativo del cuore innamorato che sceglie se e Chi amare; ecco perché, pur condividendo che qualunque definizione di Dio sia riduttiva, quella di Amore, ma anche quella di Giustizia, intesa come Equilibrio, Armonia ecc, sia quella che più si avvicina a quella parte migliore che ogni uomo sensibile sa di avere in sé, perché la “sente”, con il cuore, prima che con la testa.
      Compito della religione, secondo me, è ristabilire la relazione tra ogni uomo e il Dio che abita in Lui, e non dettare norme, ma credo che su questo siamo concordi.

  4. Paola Meneghello ha detto:

    Pietro rifiuta la definizione di Dio come Amore, e va bene, in fondo Dio è indefinibile per la nostra mente umana limitata.
    Purché, però, questa non definizione, non nasconda l’accettazione di un Dio che può fare tutto e decidere tutto per la sua creatura, (non mi riferisco ora a Pietro), perché a casa sua decide lui e basta, perché comanda Lui, punto.
    Perché l’immagine che ne ha dato spesso la Chiesa, e che la Chiesa ha assunto anche di se stessa, è proprio questa: così è la verità, e se non ti piace dritto all’inferno..ah ma, volendo…se ti confessi e ti penti, potremmo anche chiudere un occhio..sai la misericordia è infinita…
    Ma questo Dio è morto e sepolto, così come quell’idea di chiesa, perché quella coscienza non esiste più, come è dato per assodato che la schiavitù è inammissibile in una società civile. ..il mondo si muove, e si muove per relazione d’amore che davvero crea Vita, possibile sia così difficile da capire?

  5. Leila Mariani ha detto:

    Su sessualità e vita. Le diverse condizioni di vita sono dirimenti per includere tutte quelle diverse possibilità che esistono oggi e che mai come sul tema della morale sessuale fanno scappare a gambe levate chi vuole essere libero di esercitare una sessualità anche al di fuori delle condizioni di vita standard, che oggi giorno non sono più le più scelte. Scegliere di restare cristiano anche se si fa sesso fuori dal matrimonio è ancora difficile oggi, per la maggioranza e non forse per colpa di questa maggioranza

    • Gian Piero Del Bono ha detto:

      Cara Leila , lei mi sembra eccessivamente ingenua. “ Fare sesso fuori dal matrimonio” e’ una cosa che si e’ sempre fatta , in ogni epoca storica senza per questo doversi dire non-cristiani.
      Chiamasi “ peccato” o adulterio o quello di cui parlava Cristo nel Vangelo. Fare sesso fuori dal matrimonio e’ un peccato .secondo la morale cristiana . Ma chi lo compie rimane cristiano, puo’ confessarsi e pentirsi.
      Certo se “fare sesso fuori dal matrimonio “ diventa una rivendicazione sociale , una cosa buona e giusta,un modo giusto di vivere, insomma una furbata e non piu’ un peccato, e questo viene insegnato dalla societa’ , se si vuole cambiare la morale, allora siamo fuori dalla cultura cristiana e dal messaggiodi Cristo. Noi , cara Leila , dopo la nostra morte saremo giudicati da Cristo e non dalle leggi o consuetudini della societa’ . La legge morale e’ scritta nella nostra coscienza e nessuna legislazione umana puo’ soppiantarla .

  6. Sergio Di Benedetto ha detto:

    Troppo spesso abbiamo ridotto l’annuncio cristiano a morale, e la morale a purità sessuale. E non se ne esce… grazie Gabriele!

  7. BUTTIGLIONE PIETRO ha detto:

    Tema che fa soffrire chi ha ancora qualche sensibilità. Chioso su due connessioni:
    1) quanto si sono spesi i sindacati ( quelli dai capi a >300k€/anno😭) per i lavoratori marginali?
    2) Gabri accenna alla sessualità.
    Stanotte ho sognato due donne che si baciavano. Con vero “amore” reciproco.
    Mi è balzata la frase recente di Francesco: Dio è vicino nell’atto. Io ci credo. Lo avevo anche scritto qui.
    Proviamo a mettere vicino l’altra frase di F.
    ” Chi sono io x…”?
    E ancora x chi vive con animali. Quali e quanto anche gli animali provano “sentimenti”?
    Tiro le somme:
    Smettiamola con l’equivoco
    DIO È AMORE.
    Amore è cosa di qs terra.
    Dio è altro.

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