Senso di colpa e senso di peccato

Senso di colpa e senso di peccato
29 Agosto 2018

E’ una delle questioni chiave per delineare una lettura dei temi del peccato in relazione alla misericordia di Dio. La distinzione e la differenza tra senso di colpa e senso di peccato ha lasciato tracce abbondanti, nelle indicazioni della tradizione cattolica, fin dal primo secolo. Ma a partire soprattutto dalla fine del 1500 è andata spesso perdendosi, fino a dovere essere recuperata, in termini concettuali espliciti, da pochi decenni, dopo gli studi delle scienze di area psicologica.

Queste ci ricordano che il senso di colpa si qualifica come uno stato d’animo pesante, in cui la persona si sente oppressa dal male commesso, in conseguenza della trasgressione di una norma, e avverte l’impotenza ad uscire da tale condizione, perché quel male e i suoi effetti non si possono più cancellare. E’ una oppressione che tende a bloccare la persona nel suo possibile sviluppo etico e spirituale, per cui non si da speranza, non si apre al futuro e che, nei casi più gravi, può portare all’autolesionismo e anche al suicidio. Possiamo perciò definirlo un autogiudizio negativo di una coscienza che si relaziona solo a sé stessa, guardando ad una regola presa come “altro da sé”, che diviene un giudice inesorabile.

Se riletto in chiave teologica, il senso di colpa mostra tre aspetti davvero molto problematici rispetto alla redenzione. Primo. E’ uno stato in cui il peccatore si concepisce totalmente solo, perché la trasgressione non vissuta dentro ad una relazione con un Altro. Perciò anche lo sguardo di Dio che lo viene a cercare non è percepibile, né riconoscibile. Secondo. La persona non è in grado né di accogliere, né di generare perdono alcuno, perché ha rinchiuso sé stesso nel dolore del male commesso e non crede di poterne uscire. Terzo. Tende a rivolgere l’aggressività verso sé stesso, in termini espiatori o di riscatto della pena, ma senza mai riuscire a liberarsi dal suo stato. La conseguenza spirituale è che, così facendo, si pone un ostacolo enorme all’azione dell’amore di Dio, vanificando il suo perdono. Forse la bestemmia contro lo Spirito si configura anche in questo modo.

Il senso di colpa, infatti, tende a ripetere l’azione che ne è la causa, non a liberarsi da essa. Ci sono persone che si confessano centinaia di volte, ma non si muovono mai e non cambiano, ripetendo sempre i medesimi peccati e le medesime conseguenze, proprio perché nel profondo non si danno la speranza di poterne uscire. Portano croci che non si aprono mai alla resurrezione. E rischiano perciò di vivere il sacramento come un talismano che ha solo funzione psicologica di purificazione retroattiva, senza nessuna possibilità di apertura di un futuro diverso. Quasi sempre sono ancorati all’idea del peccato come di una trasgressione della norma, e non lasciano molto spazio alla misericordia. In sostanza il senso di colpa tende ad impedire alla persona di perdonarsi e perciò di lasciarsi perdonare da Dio.

Chi invece ha fatto realmente esperienza di un rapporto vivo e personale con Dio, sa che, quando rifiutiamo il suo amore, è un altro stato d’animo a prevalere: il senso di peccato. Che si caratterizza per la percezione della “mancanza” del bene possibile infranto, più che del male commesso. Questo perché, lo sguardo chiuso del peccatore che guarda sé stesso, nonostante tutto si lascia incrociare ancora dallo sguardo di Dio che lo viene a cercare per perdonarlo, benché lo si senta lontano e irraggiungibile. 

Il senso di peccato esiste solo a partire dall’esperienza della relazione con Dio, non prima. E’ nel momento in cui Lui mi può perdonare che mi accorgo si essere peccatore, non prima. Prima sono solo colpevole. Il peccatore sa che, dalla sua parte, il suo peccato ha rovinato, o anche rotto del tutto, la relazione con Dio e sente l’impotenza di ripristinarla con le sue sole forze. Ma continua a credere che Dio, invece, lo può fare. Nel senso di peccato il dolore del male commesso, pur se percepito, non sequestra emotivamente la persona, perché egli non si avverte da solo. Perciò la persona continua a restare aperta al futuro, in cui sa che, in forza dell’amore di Dio, può imparare a non ripetere quel peccato e a crescere spiritualmente. Il senso di peccato, cioè, tende a lasciarsi perdonare da Dio e in questo a poter perdonare sé stessi.

Come si vede una differenza molto rilevante, che segna uno spartiacque importante. Estremizzando un po’, da una parte si va verso un cristianesimo piuttosto legalista, che sta in piedi essenzialmente di fede di tipo culturale, sul rispetto delle norme religiose e sullo sforzo di amare Dio. Ma purtroppo resta sempre un po’ asfittico, e poco generativo di ulteriore fede. Perciò facile preda, oggi, degli acidi corrosivi della post – modernità, che sa bene come esitano strade molto più semplici e reali per uscire dal senso di colpa. Non a caso, sia nella logica di chi ha abbandonato questo cristianesimo, sia in chi vi resta dentro, il terapeuta e il confessore tendono ad occupare il medesimo spazio ed entrano perciò in competizione. Quando in realtà non è così.

Dall’altra si va verso un cristianesimo piuttosto realista, che sta in piedi essenzialmente sull’esperienza della relazione con Cristo, del suo amore a cui cercare di rispondere. A volte, può anche essere un po’ “border” rispetto alla rigidità applicativa delle prescrizioni etiche del magistero. Ma mostra una discreta capacità di reggere all’urto culturale, perché l’esperienza personale di fede non è attaccabile, da chi, nella post – modernità, fa dell’“esperimentare” il cardine del proprio pensiero. Anzi diventa il luogo in cui gli altri possono sorprendersi e stupirsi, perché esistono cristiani che sanno vivere il divino senza rinunciare a nulla dell’umano, senza che il divino sostituisca l’umano e senza che l’umano si autoproclami divino.

E’ urgente perciò recuperare e testimoniare il senso del peccato. Oggi, nel tempo della frammentazione e della solitudine sociale, dell’individualismo autodistruttivo, sostenuto da un perfezionismo onnipotente, il senso di colpa sta devastando il cuore di molte persone, che rischiano davvero di chiudersi al futuro e all’umano, prima ancora che al divino. 

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